Farsi schiavi per essere liberi

XXIX Domenica del Tempo Ordinario - Anno B - 2018

La consegna di Gesù a non farsi servire, ma a servire, è difficile, ma è l'unica strada per non vivere sempre in guerra con i danni e le angosce che ciò comporta.

«Tra voi, però non è così», afferma Gesù. Cioè, tra i miei discepoli le autorità non devono dominare e opprimere, ma servire. Su questo messaggio abbiamo meditato tante volte, e non si finirà mai di riflettere perché l'istinto a prevalere sugli altri è dentro di noi dall'origine. È il peccato dal quale tutti gli altri scaturiscono.
Lo sapeva benissimo Gesù che continuamente ha cercato di convincere i suoi discepoli, senza riuscirci, come racconta il vangelo di oggi. Due sui discepoli "si avvicinano" a lui per scavalcare gli altri. "Avvicinarsi". Il verbo fa immaginare movimenti astuti e circospetti per cogliere il momento opportuno per piazzare la raccomandazione. È quello a cui assistiamo ogni giorno e dal quale noi stessi non possiamo dirci immuni.
«Gli altri dieci» - evidentemente attenti alla situazione per lo stesso motivo - «avendo sentito, cominciarono a indignarsi», non perché i due avevano avuto un comportamento disdicevole, ma perché erano sono stati più furbi e intraprendenti. È quello che accade anche oggi: le proteste contro coloro che si sono "arrampicati" sono fortissime, perché... loro ce l'hanno fatta e noi no.

Dal momento che nemmeno Gesù è riuscito a convincere i Dodici ad accettare il suo messaggio (e considerando che nella storia della Chiesa è stato praticato soltanto da alcuni santi, combattuti per averlo praticato), cosa dobbiamo fare? Fare finta di accoglierlo, pur sapendo che non lo praticheremo? Accoglierlo, ma relativizzandolo, riducendolo cioè alla nostra portata: "servire sì, ma mica sempre e mica troppo...", accontentandoci di condannare coloro che lo rinnegano sfacciatamente? Anche se queste sono le scelte che ci piacerebbero, non dobbiamo e non possiamo rassegnarci a percorrerle, perché Gesù non accetta compromessi: «chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti».

Addirittura "schiavo di tutti"... Questo poi!
Eppure Gesù non lo suggerisce. Lo ordina come condizione oggettiva: «tra voi non è così». Soltanto la sua testimonianza e il suo sostegno possono aiutarci ad accoglierlo e a tentare di metterlo in pratica. Egli, infatti, sapendo che la nostra testa si sarebbe rifiutata di capire, non ha provato a convincerci con ragionamenti, ma con il suo esempio: «anche il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
Consapevole della difficoltà della sua richiesta, a noi chiede il coraggio della scelta, assicurandoci il suo aiuto per ciò che va al di là delle nostre capacità: «Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia prendere parte alle nostre debolezze: egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato». Perciò, possiamo «ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno».

Un incoraggiamento ci viene anche dalla convinzione che Gesù non chiede mai dei no che non portino a dei sì più grandi. Essere "schiavo" e schiavo "di tutti" mette paura, ma non deve essere così. Lo schiavo, a differenza del servo che ha diritto a una paga, non può pretendere niente. Farsi schiavo significa non guardare gli altri per prendere, per scalvare, per dominare, ma essere disponibili a dare quello che è nelle nostre possibilità, poco o tanto che sia, senza mai aspettarsi riconoscimenti, ringraziamenti, avanzamenti di posizione, poltrone a destra e a sinistra. Con altre parole, farsi schiavi di tutti significa considerare gli altri fratelli da aiutare, non avversari da combattere.

Vivere così non è a costo zero. È impegnativo. Richiede pazienza e anche sofferenza ma, sapendo che è molto duro anche vivere facendosi guerra, è saggio seguire il suggerimento di san Pietro: considerato che comunque c'è da soffrire, «è meglio soffrire operando il bene che facendo il male» (1Pt 3,17).


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