Gerusalemme è un cantiere aperto

Domenica di Pentecoste - Solennità - Anno C

Il vento e le fiammelle dello Spirito sono sempre in azione.

La scena degli undici apostoli che, insieme ad «alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui», escono dal luogo dove erano soliti riunirsi; e che cominciano a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dà loro il potere di esprimersi, suscitando la meraviglia di coloro che, richiamati dal «fragore quasi di un vento che si abbatte impetuoso», sono accorsi; e che, pur essendo di nazioni diverse, sentono parlare ciascuno nella propria lingua nativa, suscita anche in noi meraviglia e reazioni diverse secondo i tempi e le situazioni.
Ci sono momenti della storia nei quali sembra che questo “miracolo” si stia realizzando, perché fatti straordinari e inattesi fanno sperare che finalmente ci si intenda e ci si capisca (si pensi al «Io ho un sogno» di Martin Luther King, alla caduta del muro di Berlino, alle folle intorno a Giovanni Paolo II e agli ultimi Papi…); in altre situazioni si è portati a credere che l’incomprensione sia totale e invincibile.
È la seconda situazione quella che stiamo vivendo drammaticamente in questi anni, nei quali all’improvviso e inaspettatamente si è tornati a contare morti in guerra, stragi di bambini e di persone indifese, distruzioni e macerie, tentativi di capirsi che si spengono dopo avere appena iniziato a suscitare qualche speranza.

Ed è tornare a Babele

Quando è così non può non venire in mente la torre di Babele, cioè l’esatto contrario della Pentecoste, quando gli uomini nel tentativo di sfidare il cielo con una torre che lo raggiungesse e che diventasse segno di unione al posto di Dio, dalla stessa lingua passarono a una molteplicità di lingue tra loro incomprensibili. Così gli uomini, al contrario delle aspettative, si disunirono e si dispersero.
Come non pensare a ciò che sta accadendo oggi con i “grandi” che senza ritegno, anzi con prepotenza e arroganza, si attribuiscono minacciosamente il diritto di mettersi al posto di Dio, decidendo chi fare vivere e chi morire, cosa distruggere e cosa salvare?

Il vento dello Spirito è scomparso?

Questa constatazione amara, ma purtroppo vera e realistica, potrebbe indurci a pensare che la Pentecoste si sia arresa a Babele, come se lo Spirito avesse perso la sua potenza simile a vento impetuoso, e le «lingue come di fuoco» si fossero spente. Non è non può essere così, perché Gesù ha promesso lo Spirito Santo non per una occasione straordinaria, ma come “dimora” presso di noi, per insegnarci ogni cosa e per ricordarci tutto ciò che ci ha detto, dandoci la forza di osservare i suoi comandamenti.
Alla fiducia nello Spirito dobbiamo però accompagnare l’impegno a riconquistare la nostra posizione e la nostra missione che non è quella di coloro che si meravigliano, ma di quelli che suscitano meraviglia, cioè gli undici apostoli insieme ad «alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui».
Questo significa che Babele e Gerusalemme non sono un ingenuo racconto, il primo, e il secondo un fatto accaduto più di duemila anni fa e quindi ormai confinati negli archivi e nei libri a disposizione degli storici e dei biblisti, ma due cantieri sempre aperti che hanno bisogno di operai per aumentare o l’incomprensione e la separazione, oppure il dialogo e la comunione. Le forze in campo, a cominciare da quelle dei potenti: Putin, Trump, Xi Jinping… sembrano tutte a favore di Babele. Però non è così perché noi abbiamo ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!», al Dio che non può essere vinto da nessun potente.

Piccoli potenti e prepotenti

Babele o Gerusalemme? In quale cantiere possiamo e dobbiamo lavorare? La risposta da evitare è quella di sentirci inadeguati e impotenti: “Ma cosa possiamo fare noi così piccoli nel cantiere di Gerusalemme? Pregare sì, ma il resto non è nelle nostre possibilità e disponibilità”. Cedere a questa sensazione significherebbe sfiducia nello Spirito Santo e costruire anche non volendo torri di Babele di incomprensione e incomunicabilità, piccole ma non meno dannose di quelle dei cosiddetti “grandi”.


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