Gesù sta bene con gli amici

XVI domenica del Tempo Ordinario - Anno C - 2022

L’ospitalità non è soltanto un bene umano e sociale.

L’episodio evangelico che la liturgia proclama in questa domenica è molto particolare. In esso, infatti, troviamo un Gesù lontano dalle folle che lo strattonano, dai malati che lo invocano, dai farisei che astiosamente e testardamente lo contrastano, e anche dai non pochi problemi che gli stessi apostoli gli procurano. È ospite in casa di amici che gli vogliono bene e ai quali vuole molto bene, come riferisce l’evangelista Giovanni: «Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro» (Gv 11,5). Sappiamo cosa accade. A Marta, donna concreta, decisa e schietta (non si fa problema a rimproverare Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!» Gv 11,32) indaffaratissima a preparare la migliore ospitalità possibile, non piace che la sorella Maria, assorta ad ascoltare il Maestro, non le dia l’aiuto necessario: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». La lamentela le procura un affettuoso rimprovero: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose… ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore». Non conosciamo la reazione della padrona di casa, ma sappiamo che i commenti e le interpretazioni della risposta di Gesù sono stati e sono tantissimi.

Non una o l’altra, ma l’una e l’altra

Cosa vuol dire che Maria ha scelto la parte migliore? Cos'è quella cosa sola di cui c’è bisogno? È la fede? È la vita eterna? È la preghiera? È la meditazione? È l’ascolto della parola di Dio? E giù con le ipotesi: contrapposizione tra contemplazione e azione; tra orizzontalismo e verticalismo, tra vita consacrata e matrimonio… e anche che essa non sia niente altro che un semplice invito a non esagerare con le portate. C’è un indizio che forse segnala la strada giusta: i verbi che Gesù adopera: «ti affanni» e «ti agiti», che richiamano palesemente l’invito a non affannarsi e a non preoccuparsi per il cibo, per le bevande, per il vestito (Mt 6,24-34). Quel brano non esorta a starsene ad ammirare gli uccelli e i fiori senza fare niente, ma a vivere con moderazione e saggezza, cercando «anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia», cioè avendo un “anzitutto”, un termine di paragone, una scala di valori. L’ospitalità per essere autentica non può limitarsi alle “pietanze”, trascurando l’attenzione e l’ascolto. Allora la cosa sola di cui c’è bisogno nella nostra casa come in quella di Betania è l’armonia tra il fare e il senso del fare. Ciò non significa dividere il tempo: tot minuti all’ascolto e tot all’azione come nei monasteri, ma agire ascoltando il Signore che dà senso e verità a ciò che si sta facendo. Coloro con i quali Gesù ama stare non sono proseliti o sudditi e nemmeno devoti, ma amici che lo ospitano come Marta e Maria insieme, cioè con l’operosità, il sale e la luce della sua parola.
Vivere la fede come se avessimo Gesù ospite nella nostra casa per offrirgli ristoro e ascolto è incoraggiante, confortante e consolante. Ma questa nostra casa dov’è? È i nostri pensieri, le nostre parole, le nostre azioni vissuti con un “anzitutto”: la sua amicizia e la sua parola.

Una vita ospitale

Nel bellissimo “quadro” evangelico della casa di Betania, c’è un messaggio “non detto”, cioè non affidato alle parole, ma che emerge dall’episodio raccontato: il valore dell’ospitalità sia nell’accezione materiale e sociale che spirituale e religiosa. La prima lettura della Messa racconta del Signore che appare ad Abramo, presentandosi come tre viandanti, e riceve un’accoglienza così calorosa e generosa che al confronto quella di Marta è meno di niente. Il messaggio è chiaro: ospitare “i viandanti” è ospitare il Signore. Oggi c’è bisogno di ridare sacralità all’ospitalità materiale – ormai praticamente affidata allo Stato, alle agenzie e alle organizzazioni specializzate – con quella della mente e del cuore.
Nei tre uomini in piedi davanti alla tenda di Abramo nell’ora più calda del giorno c’era il Signore. Lo stesso che è presente in coloro che, per un motivo o per l’altro, da una povertà o da un’altra, da un continente o da un altro, stanno davanti casa nostra. Questa consapevolezza può stimolarci a ritrovare più sobrietà, più saggezza, più attenzione verso gli altri. Forse la cosa sola di cui c’è bisogno è proprio una vita umanamente e spiritualmente “ospitale”.


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