La parola di Dio che ci viene proclamata nelle domeniche di avvento, anche se nell'arco dei tre anni cambiano gli autori delle tre letture, suppergiù è sempre la stessa: c'è un profeta che invoca l'intervento di Dio per dare una sistemata a tutto ciò che non corrisponde ai nostri desideri di verità, giustizia e pace...
C'è un apostolo che ci invita a vivere con impegno il nostro essere provvisori; c'è un evangelista che ci propone l'austero Giovanni Battista "vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico" che esorta con voce potente a preparare la via del Signore, e a raddrizzare i suoi sentieri.
Sono tutti messaggi che, materialmente, spingono la nostra attenzione verso la nascita di Gesù a Betlemme, cioè a un evento già compiuto. Ciò potrebbe indurci a pensare e a vivere questo tempo di Avvento come a una rappresentazione di cose passate, utile da rivedere e da ripassare, ma per il ricordo non per il presente.
Se il nostro Avvento si fermasse a questo livello, non sarebbe diverso da quello degli spot pubblicitari che non aspettano il Signore che viene, ma i guadagni che possono arrivare dalla festa per la sua venuta a Betlemme; o meglio dalla festa del venticinque dicembre, dato che ormai nella pubblicità la natività di Betlemme – ci avete fatto coso? - la si vede soltanto quando reclamizzano i presepi napoletani, perché per il resto è tutto Babbo Natale, panettoni, ricette per il ventiquattro sera e per venticinque, liquori, regali, luminarie.
Per evitare questa deriva, non facile da evitare, è necessario ricordare che la parola di Dio, anche se racconta fatti lontani nel tempo, parla a noi oggi. Essi ci vengono proclamati non è per arricchire o per risvegliare le nostre conoscenze, ma per esaminare e verificare se la nostra vita si nutre del messaggio che quegli eventi hanno portato, al fine di approfondirne l'incidenza, o di riconvertirci ad esso. Se è così – ed è così! - l'invito del profeta Isaia, ripreso dal Battista, a preparare la via del Signore, a raddrizzare i suoi sentieri, è per noi oggi. Come è per noi l'invocazione del salmo a fare "incontrare amore e verità, e a far baciare la giustizia e la pace". Ed è per noi anche il Battista, perché ci ricorda che, mentre egli è stato il precursore e l'annunciatore della venuta del Signore a Betlemme, noi siamo chiamati a essere precursori e annunciatori della sua venuta come Signore della storia. Mentre infatti il profeta Isaia e il precursore Giovanni annunciavano eventi che sarebbero arrivati. Noi siamo chiamati ad annunciare che questi eventi sono già avvenuti, e a testimoniare con la nostra vita che essi operano, oggi, in maniera visibile ed efficace.
Il Battista, in modo particolare, è di grandissima attualità. Egli annunciava l'arrivo di uno più grande di lui. Noi dobbiamo testimoniare che è presente tra noi uno più grande di noi, e che per ottenere la consolazione di una vita e di una società meno accidentate e scoscese, è necessario riconoscere che la grandezza appartiene solo a lui, altrimenti i monti e i colli dell'egoismo diventeranno sempre più imponenti e le vallate dell'indifferenza sempre più profonde. E' così che il nostro Avvento non sarà una rappresentazione del passato, ma la nostra piccola e umile collaborazione con il Signore, venuto con potenza.
Le condizioni per realizzare la nostra collaborazione sono quelle che l'apostolo Pietro indicava ai cristiani del suo tempo: la pazienza, perché suoi tempi non sono come i nostri; la vigilanza, perché il Signore viene come un ladro, dove e quando meno ce se l'aspetta; la consapevolezza della nostra provvisorietà, perché appena ce ne dimentichiamo non camminiamo più sulle vie del Signore, ma sulle nostre, che sono più facili, ma a senza sbocco, perché finiscono con noi.