Il cantiere di Gerusalemme è sempre in azione

Domenica di Pentecoste - Anno C - 2016

La liturgia della Solennità di Pentecoste mette a confronto la costruzione di due città: Babele, che nasce dalla pretesa degli uomini di raggiungere il cielo con le loro forze e Gerusalemme, che sorge grazie al dono dello Spirito disceso dal cielo, invocato e accolto dalla comunità dei credenti.

La scena degli apostoli che, investiti da "un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso" che riempie "tutta la casa dove stavano", e da "lingue di fuoco su ciascuno di loro", "colmati di Spirito Santo", escono, parlano e tutti li capiscono nella loro "lingua nativa", nonostante fossero di tanti paesi diversi, è memorabile. Infatti non c'è chi non la conosca. E non c'è chi non la colleghi immediatamente a un'altra scena altrettanto memorabile: la torre di Babele, dove accade l'esatto contrario, perché in essa tutti parlano la stessa lingua, ma non si capiscono.

Il confronto tra Gerusalemme e Babele è la stessa liturgia a farlo, aprendo con il brano della Genesi (11,1-9) la Messa vespertina nella vigilia di Pentecoste, e con quello degli Atti (2,1-11) la Messa del giorno. Non potrebbe essere diversamente, non tanto per l'uguaglianza al contrario dei due racconti, ma per il loro messaggio speculare. Nella torre di Babele, gli uomini, volendo sfidare Dio ("Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo"), rifiutano il padre. E senza un padre comune non esistono più fratelli. A Gerusalemme, accogliendo e osservando, con la forza dello Spirito Santo, la parola di Gesù, si riconosce che il Padre di tutti è quello di Gesù. E con un Padre di tutti, tutti si è fratelli.

Tutto facile da capire, perché i due racconti si spiegano da soli. Ma noi non celebriamo la Pentecoste per ripassare e conoscere meglio i testi della Bibbia, bensì per rivivere l'evento, e i testi biblici che vengono proclamati non sono brani di storia, ma il Signore che parla alla nostra vita e al nostro oggi.

E allora cosa ci dice il Signore?

La torre è sempre in costruzione.
Il Signore ci dice che Babele, dove le lingue si dividono, e Gerusalemme, dove ridiventano una, non sono storie passate, ormai sedimentate nelle pagine dei libri, ma sono fatti che accadono e ci interpellano oggi, perché la torre della divisione è un cantiere sempre aperto, così come sta ancora risuonando la lingua che tutti capiscono. E' così. Basta guardare la realtà dove tanti, troppi uomini, non smettono mai di gridare: "Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo".

I muri e le barriere di filo spinato sui confini, la voglia di tornare alle frontiere, la decisione di respingere i profughi e di rimandarli in mezzo a guerre e miseria, cosa sono se non il rifiuto che siamo tutti fratelli, e la negazione che c'è un Padre solo? La corruzione che trasuda senza ritegno da tutti gli ambienti pubblici e privati, cosa è se non la volontà perversa di prevalere sugli altri, considerati non fratelli da amare, ma avversari da sfruttare, e da usare per il proprio tornaconto? La lotta per prevalere sugli altri con tutti i mezzi e a tutti i costi, senza tenere conto del bene comune, cosa è se non la presunzione di volere "toccare il cielo" per mettersi al suo posto?

Sì, la torre è sempre in costruzione, con cantieri tanto numerosi da far temere che non ci sia più spazio per Gerusalemme, dove tutti si comprendono, perché vengono osservati i comandamenti di Gesù, e il Paràclito (lo Spirito Santo), dato dal Padre, rimane per sempre per insegnarli e ricordarli. Ma non dobbiamo temere.

Anche il cantiere di Gerusalemme è sempre in azione.
Non dobbiamo temere perché anche Gerusalemme è sempre in azione, e proprio i tentativi di costruire muri, barriere e frontiere, dimostrando di non riuscire a fare altro che ad aumentare le separazioni e le incomprensioni, invece di "toccare il cielo", testimoniano la sua misteriosa azione e la sua invincibile forza.

Niente pessimismo e lamentele, quindi.
Ciò che serve è un impegno più deciso a lavorare nel cantiere di Gerusalemme, invocando con forza e senza mai smettere lo Spirito, affinché quel vento impetuoso e il calore e la luce delle lingue come di fuoco arrivino sempre anche a noi. Perché il Paràclito non possiamo conquistarlo, ma soltanto implorarlo. E se anche tra noi non di rado le lingue si confondono, è perché lo imploriamo troppo poco.


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