Il cristiano non vive a braccia conserte

XIX Domenica del Tempo Ordinario - Anno C - 2019

Affidare la vita a Dio non significa sminuirla, ma valorizzarla al massimo.

L'esortazione di Gesù ai discepoli: «Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito», presenta un'immagine del cristiano che parla più di tante parole. Essa ci stimola a superare con decisione l'idea del "cristiano attendista", che, poco interessato alla vita di quaggiù, vive a braccia conserte, impegnandosi quel tanto che basta per tirare avanti l'esperienza terrena in attesa del Signore che viene a concluderla.

Il personaggio che scaturisce dalla similitudine di Gesù è in attesa del "padrone", ma in un'attesa operosa. Le luci della casa sono accese, perché non se ne sta ad aspettarlo sonnecchiando, in pantofole, ma in tenuta da lavoro, "con le vesti strette ai fianchi", per fare in modo che ogni cosa sia nella condizione migliore. Sembra di vederlo: si affaccia sulla porta per controllare se c'è qualche segnale dell'arrivo, rientra per curare qualche particolare non ancora a puntino, dà una sistemazione migliore a quello che prima gli era sembrato già a posto; e ogni tanto esce di nuovo per non farsi sorprendere dall'arrivo del "padrone", per non trovarselo dentro casa senza essergli andato incontro.
Il suo dinamismo nasce dalla consapevolezza di non essere il padrone della casa, ma un servo a cui ne sono state affidate la cura e la custodia. Perciò non approfitta della situazione per "mangiare, bere e ubriacarsi", e per fare da padrone, percuotendo gli altri servi e le serve.

Domanda: "Ma è proprio bella e incoraggiante questa similitudine di Gesù? Cosa c'è di entusiasmante nella situazione di un servo che aspetta il padrone?".

Essere servi sarebbe triste e angosciante, se si fosse obbligati a questa condizione. Tutto cambia se liberamente e consapevolmente si è deciso che questa è la verità della nostra condizione. Essere sotto padrone è deprimente, se si è stati posti sotto il suo dominio con la forza. Non è così, se lo si è riconosciuto come tale e si è deciso spontaneamente di servirlo.

Domanda: "Ma come è possibile scegliere di essere servi, e di vivere per un padrone, quando tutto dentro di noi ci spinge a impossessarci di ciò che ci capita tra le mani e a essere o diventare padroni della casa?".

La risposta ce la dà san Paolo: "per fede". Che non significa chiudere gli occhi e rassegnarsi, ma meditando su chi si è su cosa è la vita, scoprire che soltanto nel riconoscere "padrone" il Signore, essa trova verità e consistenza. "Per fede", commenta san Paolo, si possono compiere scelte umanamente incomprensibili e perdenti: "per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo..."; "per fede, egli soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera..."; "per fede, anche Sara, sebbene fuori dell'età, ricevette la possibilità di diventare madre..."; "per fede, Abramo, messo alla prova, offrì Isacco...".

Torniamo alla similitudine di Gesù, al cristiano come servo "con le vesti strette ai fianchi e lampade accese", cioè all'immagine che propone il credente come persona vigile, attiva, operosa, e chiediamoci: perché noi cristiani non sempre abbiamo dato questa immagine, e non sempre anche oggi la testimoniamo? La risposta va cercata in una fede che non è "per fede", cioè non è nata da una meditata, convinta, matura, coraggiosa scelta di vita, ma dal "mi ci sono trovato dentro", e va avanti non per convinzioni ma per convenzioni: tradizioni, abitudini.

Per essere cristiani "pronti, con le vesti stretti ai fianchi e le lampade accese, come servi che aspettano il loro padrone", è necessario fare, o rafforzare, il nostro "per fede", perché per vivere, come le ultime domeniche ci hanno ricordato, il "va' e fa' anche tu" come il Samaritano; l'essere ospitali come Abramo, Marta e Maria; credere in Dio "papà buono" e comportarsi da "buoni" fratelli; non essere ricchi stolti ma ricchi davanti a Dio, non si può vivere con le braccia conserte, ma sempre attive e operose.


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