Il dono della vita nelle nostre mani

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario - Anno A - 2017

Non mettiamo il talento che Dio ci ha donato (la nostra vita) nella buca della pigrizia, della banalità, del fanno tutto così, perché Dio la vuole al completo di tutto il bene per il quale l'ha programmata. Questo è l'invito della XXXIIIa domenica del tempo ordinario.

Il rimprovero del padrone al servo che ha nascosto il suo talento nel terreno è severissimo: "Servo malvagio e pigro..."; ed è terribile la punizione: "Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti", tanto che il poveretto quasi quasi ci fa compassione. Sia perché è stato trattato ingiustamente, avendo ricevuto meno degli altri due; sia perché non ha dissipato il talento ricevuto, ma l'ha restituito. Se il racconto fosse un fatto di cronaca, avremmo ragione a commiserarlo. Ma quella di Gesù è una parabola, nella quale non contano i particolari narrativi, ma il messaggio finale, cioè: "A chiunque ha, verrà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha".

Cosa significa?

La differenza della consegna non è un'ingiustizia, intanto perché non dobbiamo immaginare il terzo servo con pochi spiccioli in mano. Il talento di cui si parla nella parabola non era una moneta, ma un lingotto di metallo di oro o di argento di diversi chilogrammi: un vero tesoro. Soprattutto, però, perché il padrone ha distribuito questa ricchezza "secondo le capacità di ciascuno", perciò la diversità del lascito non è stata una discriminazione, ma una attenzione alle persone. Ci sarebbe stata ingiustizia se ai servi fosse stato chiesto ciò che non erano in grado di dare. Per di più il padrone non è "un uomo duro", come crede erroneamente il servo, dal momento che si sarebbe accontentato soltanto degli interessi ricavati dal deposito in banca.

Con queste veloci chiarificazioni il messaggio diventa evidente e di grande importanza: donandoci la vita, Dio ci chiama a collaborare alla sua opera creatrice. Egli non ce la mette in mano preconfezionata: "Eccola! Questa è la tua vita. Così è, e così me la devi riconsegnare". Non ci fa "finiti" ma da finire, e il "da finire" spetta a noi.

Pensiamo a Geppetto. Egli fa il burattino, ma la responsabilità di rimanere tale o di diventare un bambino è di Pinocchio. Dio è un po' come Geppetto, o meglio: Geppetto rassomiglia molto a Dio (il parallelo non scandalizzi. E' stato fatto da persone molto più autorevoli di me, forse dallo stesso Collodi). Dio ci dona l'intelligenza per capire ciò che ci fa crescere come suoi figli e ciò che ci porta lontano da lui; ci dà la libertà per decidere di trafficare i suoi doni, oppure di lasciarli inattivi o di dissiparli; ci dà la volontà per fare ciò che abbiamo capito e deciso. A nessuno è chiesto di produrre ciò che non è in grado di produrre, ma ciò che è nelle sue possibilità. Dice papa Francesco: "Il Signore, non dà a tutti le stesse cose e nello stesso modo: ci conosce personalmente e ci affida quello che è giusto per noi; ma in tutti ripone la stessa, immensa fiducia. Dio si fida di noi; Dio ha speranza in noi. Non deludiamolo!" (Udienza generale del 24/4/2013).

Questa parabola è un deciso richiamo alla responsabilità sulla nostra vita. Dio ce la mette nelle mani per farla crescere, portala alla pienezza, per farla diventare come egli l'ha pensata: generosa, giusta, misericordiosa, sincera..., per essere pienamente suoi figli, in modo da vivere per sempre con lui nella sua casa. Se ci presentiamo a lui senza niente, perdiamo quello che abbiamo ricevuto: "A chiunque ha, verrà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha". Se non l'abbiamo trafficata, non ha raggiunta la sua finalità, perciò è andata persa.

Come sempre, quello che il Signore chiede non va contro la nostra natura (e come potrebbe se è lui che ce l'ha donata?) ma la potenzia. Oggi tutti sanno che per mantenere sveglio il cervello è necessario metterlo continuamente sotto sforzo, altrimenti, come succede ai muscoli con la sedentarietà, si debilita. Vivere trafficando i talenti, perciò, non è soltanto un bene "spirituale" nel senso restrittivo e bigotto del temine, ma anche umano e sociale. La fede nella vita eterna non è una fuga dalla realtà, ma l'esatto contrario.

Afferma papa Francesco: "L'attesa del ritorno del Signore è il tempo dell'azione, il tempo in cui mettere a frutto i doni di Dio non per noi stessi, ma per Lui, per la Chiesa, per gli altri, il tempo in cui cercare sempre di far crescere il bene nel mondo. E in particolare in questo tempo di crisi, oggi, è importante non chiudersi in se stessi, sotterrando il proprio talento, le proprie ricchezze spirituali, intellettuali, materiali, tutto quello che il Signore ci ha dato, ma aprirsi, essere solidali, essere attenti all'altro" (Angelus del 16/11/2014).


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