Il farmaco del perdono

XXIV Domenica del Tempo Ordinario - Anno A - 2017

Nel vangelo di questa XXIV domenica del tempo ordinario, Gesù invita i suoi a saper perdonare gli altri come il Padre perdona loro: una meta che sembra impossibile e invece può essere raggiunta invocando il dono dello Spirito, che guarisce dalle ferite del rancore. 

Alcuni detti del Vangelo sono talmente conosciuti da essere diventati proverbi. La cosa curiosa, però, è che questi detti famosi, come "porgi l'altra guancia", "agnelli tra i lupi", "perdonare settanta volte sette", non sono diventati tali perché condivisi, ma al contrario, perché ritenuti impraticabili in quanto contrari al comune pensiero e ai normali comportamenti. Chi non ha sentito ragionare così: "Perdonare settanta volte sette? Ma figurati! Nemmeno mezza volta".

In realtà il nostro istinto non dice: "perdono", ma: "occhio per occhio", e se è possibile anche di più. Per noi, come per Pietro, "sette volte" sarebbe già un atto praticamente eroico.

Come accettare, allora, il messaggio di Gesù? Contrastando l'istinto con una motivazione più forte. Questa risorsa è nelle nostre possibilità, perché Dio l'ha riservata alla creatura fatta a sua immagine e somiglianza. Il leone non può fare lo sciopero della fame, noi sì.
La motivazione "forte" per perdonare "sette volte sette" è la consapevolezza di essere perdonati da Dio e perciò in dovere di perdonare i fratelli.

Sentenzia il Siracide: "Un uomo che resta in collera verso un altro uomo, come può chiedere la guarigione al Signore? Se lui, che è soltanto carne, conserva rancore, come può ottenere il perdono di Dio?". Dichiara Gesù per bocca del re, il protagonista della parabola: "Servo malvagio! Io, il re, a te che sei mio servo ho condonato un debito enorme: diecimila talenti. Tu, a un servo come te, hai rifiutato di condonare pochi spiccioli: cento denari".

Questa consapevolezza non rende facile osservare una Parola così fortemente contrapposta all'istinto, con la mente e il cuore che vogliono dire di no. Allora? Allora è necessario invocare lo Spirito Santo che può trasformare il nostro cuore di pietra in un cuore di carne (Cfr. Ezechiele 36,26). L'esperienza rivela che lo Spirito Santo è generoso nel concedere questo dono. Chi non ha conosciuto persone che hanno perdonato torti di gravità estrema?

Perdonare "settanta volte sette" significa, infatti, vivere perdonando, assumendo il perdono come stile di vita, non soltanto perdonare se capita l'occasione, sperando che non capiti mai. Ciò comporta che in una società in cui non ci si mette niente a prendere per il collo gli altri anche per "cento denari" (magari un parcheggio rubato, o uno sguardo sbagliato) i cristiani sono chiamati a diffondere mentalità e comportamenti che facciano da sfiato al rancore, all'ira, alla vendetta, alla collera, per aprire la porta alla misericordia.

Però, vivere e testimoniare un impegno così controcorrente è possibile anche perché, liberando la mente e il cuore dal rancore e dall'odio, si sperimenta come essi si riempiano di pace, e creino pace intorno a noi. E' la pace che arriva quando si vive nella verità di ciò che siamo, come san Paolo ci ricorda: "Fratelli, nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore".

Se siamo del Signore, dobbiamo dare agli altri ciò che il Signore dà a noi. In questo modo il perdono "settanta volte sette", così ostico per il nostro istinto, diventa un farmaco per la vita personale e sociale, perché, se non li elimina, alleggerisce molto i guai, le sofferenze e tristezze che il rancore, l'odio e la vendetta portano con sé.


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