Nella prassi della Chiesa antica troviamo una grande ricchezza di ministeri, che scaturiscono dal comune battesimo, e tra questi riveste particolare importanza quello del lettore.
L'epoca apostolica. I primi tre secoli rappresentano il momento privilegiato della genesi e dello sviluppo dei ministeri ecclesiali. Si può cogliere una Chiesa che prende coscienza di se stessa, sperimenta cosa vuol dire fedeltà alla propria natura trasmessale da Cristo e adattamento alle nuove situazioni e problemi. Sono percepibili, tuttavia, quelle tendenze involutive che si accentueranno poi nei secoli successivi. Nella Chiesa primitiva troviamo già una prima configurazione ministeriale, sebbene si tratti di una situazione transitoria destinata a evolversi nella distinzione di gradi e servizi specifici.
Nella comunità descritta dagli Atti degli apostoli e dalle Lettere di san Paolo troviamo già abbozzata, nelle sue linee essenziali, la ministerialità pastorale e sacerdotale della Chiesa. Gli stessi apostoli si presentano come «servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio» (1 Cor 4,1), «servitori a causa di Gesù» (2 Cor 4,5). Fin dall'epoca apostolica si hanno comunità tutte ministeriali, rette da ministri e pervase di spirito diaconale o di servizio (cf. 1 Ts 5,12-13). Utilizzando l'immagine del corpo formato dalle diverse membra, san Paolo spiega la varietà dei servizi con cui è arricchito il corpo ecclesiale di Cristo (cf. Rm 12,4-8).
Troviamo così una ricchezza di ministeri come i «profeti» (At 13,1), i «maestri» (At 13,1; 1 Cor 12,28), gli «episcopi» (1 Tm 3,2; 2 Tm 1,6), i «diaconi» (Fil 1,1-2) i «presbiteri» (At 14,23; Tt 1,5-6; 1 Tm 5,17), gli «evangelisti» (At 21,8; 2 Tm 4,5). La varietà di questi ministeri ha, tuttavia, una ben definita unità e originalità. Infatti i ministeri strutturano la Chiesa, non vi è opposizione ma complementarietà dal momento che derivano tutti dallo stesso Spirito: i Dodici (cf. At 2,4), Pietro (cf. At 4,8), i Sette (cf. At 6,3), Stefano (cf. At 6,5.10), Barnaba e Paolo (cf. At 13,4.9). Non vi è anarchia né disordine (cf. 1 Cor 14,40), tutto avviene per l'edificazione (cf. 1 Cor 12–14).I ministeri non appaiono come rappresentanza o delegazione della comunità, ma sono esercitati in assoluta dipendenza da Cristo: è lui il capo del corpo (cf. Col 1,18), è lui che dà autorità di cacciare i demoni (cf. Mc 6,7), di sciogliere-legare (cf. Mt 18,18).
Con Giustino, verso il 150, compare la figura del lettore nel contesto della liturgia eucaristica, distinto da colui che presiede e fa l'esortazione. Tuttavia non sappiamo se esistesse già allora un ufficio vero e proprio di lettore, cioè un lettorato istituito, come apparirà più tardi nella Traditio apostolica dove si distingue espressamente tra ministri ordinati mediante l'imposizione delle mani ( cheirotoneîn /ordinare) e ministri istituiti ( kathistáthai /istituire) senza il rito dell'imposizione. Il lettore è messo in questo secondo gruppo e la sua istituzione avviene con la consegna delle sacre Scritture da parte del vescovo. Il primo riferimento sicuro al lettore lo troviamo in Tertulliano tra la fine del II e l'inizio del III secolo, dove appare come un ufficio stabile, accanto a quello dei vescovi, dei presbiteri e dei diaconi. Con Tertulliano si vede una Chiesa organizzata, retta da una disciplina che delimita chiaramente i ruoli in modo stabile, mentre egli accusa gli eretici di conferire i ministeri senza preparazione, alla leggera e in modo non stabile: «Oggi fa da vescovo uno, domani un altro; oggi fa da diacono uno, che domani farà da lettore; oggi fa da presbitero uno, che domani farà da laico». A partire dalla testimonianza di Giustino possiamo intravedere una prima struttura di celebrazione e di configurazione ministeriale: il radunarsi dell'assemblea eucaristica, la proclamazione delle letture dell'Antico e del Nuovo Testamento da parte del lettore, l'omelia tenuta da chi presiede, la preghiera dei fedeli, la prece eucaristica, la partecipazione alla comunione eucaristica, il congedo. (...)
Compare poi chiaramente la figura del lettore distinto da chi presiede e dal diacono, sebbene sia difficile pensare che esistesse già un lettorato istituito come apparirà in seguito nella Traditio Apostolica dove apprendiamo che «il lettore è istituito quando il vescovo gli consegna il libro; non riceve infatti l'imposizione delle mani» . Circa il numero delle letture si deduce da Giustino che la lettura concerneva simultaneamente Nuovo e Antico Testamento. Dunque di norma dovevano essere almeno due letture: si leggeva prima il Vangelo e poi l'Antico Testamento. Non c'era ancora un Lezionario fisso e le letture venivano probabilmente fatte con una modalità di lectio semicontinua. Anche la lunghezza delle pericopi non era definita ma dipendeva dal tempo.
Quello che maggiormente ci interessa sottolineare nella descrizione di Giustino è come la liturgia della Parola e la liturgia eucaristica siano articolate da un preciso nesso di successione che riconosce alla singola unità liturgica una propria struttura portante. Alla scuola del nostro mistagogo non abbiamo difficoltà a individuare nella liturgia della Parola due pilastri strutturali: la proclamazione attualizzante della Parola di Dio (letture e omelia) e la risposta supplichevole della comunità (preghiera dei fedeli). Il concetto di attualizzazione è riferito alla proclamazione della Parola, cioè al momento in cui, attraverso il ministero di mediazione del lettore, Dio Padre entra in dialogo con la Chiesa (assemblea) in ascolto, affinché questa trasformi poi il suo ascolto in preghiera.
Brano tratto dall'articolo: Il ministero del Lettore nella Chiesa antica, di Emmanuela Viviano, in: La Vita in Cristo e nella Chiesa, mensile di formazione liturgica e informazione, N. 9, novembre 2015.
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