Il nostro tesoro è dov'è il nostro cuore

XVII Domenica del Tempo Ordinario - Anno A - 2020

Oggi più che mai è urgente testimoniare che la fede è un guadagno.

Anche in questa domenica, Gesù ci parla in parabole, ma, almeno apparentemente, non nel modo tipico delle parabole, fatto per sorprendere e spiazzare la logica normale. Infatti le tre brevi parabole sembrano esprimere un messaggio ovvio e condivisibile. Se una persona trova inaspettatamente un "tesoro nascosto", il cui valore supera tutti i beni attualmente in suo possesso, e che può fare suo senza andare incontro a spiacevoli conseguenze legali, è ovvio che venda tutto per impadronirsene. Chi non lo farebbe?
E una persona che va in cerca di un colpo di fortuna, cioè di un bene che superi il valore di tutti gli altri che possiede, qualora le si offra finalmente la possibilità di realizzarlo, magari con una lotteria o una scommessa, perché non dovrebbe vendere tutto per appropriarsene? Dove sta, quindi, il messaggio innovativo della parabola? La normalità si ripresenta anche nella parabola dei pescatori che tirano a riva le reti e «raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi». Tutti i pescatori fanno così. E allora come può mettere in discussione le nostre convinzioni e ribaltare le nostre sicurezze?

Attenzione! La provocazione c'è ed è fortissima. Sta nella similitudine «il regno dei cieli è simile a...»: un tesoro, una perla preziosa, una rete per la pesca. Se ci capitano tra le mani un tesoro o una perla preziosa è ovvio cercare di farli nostri. Ma cosa per noi è tesoro o perla preziosa? Cioè, cos'è che noi riteniamo un tesoro o una perla preziosa? È il "regno dei cieli", cioè l'impegno al seguito di Gesù a essere seme e lievito di giustizia, di verità, di carità, di pace, di accoglienza..., oppure ciò che il vangelo chiama zizzania? Qual è il tesoro per il quale siamo disposti a vendere tutto il resto? Cosa davvero noi consideriamo "tesoro" e "perla preziosa"? A cosa attribuiamo il valore più alto: al "regno dei cieli" o a quello della terra? Il criterio per scoprirlo ce lo dà Gesù: «dov'è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore». Allora, dov'è il nostro cuore?

Fortemente provocatoria è anche la parabola dei pescatori. Siamo consapevoli che ci sono pesci buoni e pesci cattivi, cioè che ci sono il male e il bene, il giusto e l'ingiusto, la verità e la menzogna, la solidarietà e l'indifferenza..., oppure, magari distrattamente e inconsapevolmente, seguiamo la corrente del tutto è bene e tutto è male a seconda di ciò che va di fare, che si desidera, che dà sensazioni piacevoli?

Con queste parabole, la parola di Dio ci invita a esaminare e a valutare la nostra fede. Lo fa, però, con una sottolineatura particolare: la fede come tesoro, come perla preziosa, come scelta fortunata. Questo approccio non è usuale, perché non di rado la fede è stata considerata come una rinuncia. Per secoli è stata predicata come una barriera di no. Gesù invece dice che la fede in lui è un "tesoro". Questo va testimoniato con una fede bella, gioiosa, positiva che dimostri che in essa si è trovato di più, che ci si è guadagnato. Questa testimonianza di fede "tesoro trovato" oggi è particolarmente importante e necessaria, perché in una società multiculturale e multireligiosa sono tante e potenti le pressioni per far credere che i veri fortunati siano quelli che non cercano il tesoro nel "regno dei cieli di Gesù", ma in altri regni, in altre convinzioni, in altre religioni. Oggi più che mai c'è bisogno di cristiani "lieti e fieri" della fede, orgogliosi di professarlo nella concretezza della vita sociale, politica, economica.

«Dov'è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore», dice Gesù. Dov'è il nostro cuore, e quindi dov'è il nostro tesoro? Cerchiamo di scoprirlo domandandoci cosa speriamo di trovare. Cosa andiamo cercando? Per cosa ci diamo da fare? A cosa aspiriamo? A cosa pensiamo quando iniziamo il giorno e quando lo chiudiamo? Siamo almeno un po' come Salomone che non chiede e non cerca «la vita di molti giorni, la ricchezza, la vittoria sui nemici«, ma «un cuore docile» che «sappia distinguere il bene dal male» per essere granello di senape e lievito di seme buono?
Forse non lo siamo. Forse lo siamo poco o a sprazzi. Forse non lo siamo più. Comunque sia, preghiamo per esserlo di più.


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