Il santo orgoglio di essere cristiani

XXII Domenica del Tempo Ordinario - Anno B - 2015

Proclamava Mosè al suo popolo: "Quale grande nazione ha gli dèi così vicini a sé, come il Signore, nostro Dio, è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo? E quale grande nazione ha leggi e norme giuste come è tutta questa legislazione che io oggi vi do?". Il Liberatore non poteva sapere che sarebbe sorto un altro popolo, la Chiesa, a poter vantare con maggiori motivazioni la vicinanza di Dio e leggi e norme giuste.

Quale grande nazione ha gli dèi così vicini a sé, come il Signore, nostro Dio, è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo? In queste domeniche, stimolati dal discorso di Gesù sul pane vivo, per evitare la ruggine dell'abitudine che intacca anche i metalli più duri, abbiamo cercato di riscoprire la centralità e l'importanza dell'Eucaristia. Proprio per questo dono del Signore Gesù, possiamo a buon diritto dire: "Quale popolo più di quello cristiano può vantare di avere Dio non solo vicino, ma da farsi mangiare e bere, ogni volta che accoglie l'invito di partecipare alla sua cena?". Dobbiamo riscoprire questo immenso dono, liberandolo da tutto ciò che può farcelo sembrare scontato, e vivere come se fosse qualcosa di normale.

Dobbiamo anche riscoprire la gioia di sentire questa vicinanza divina che rimane presente nelle chiese delle nostre città e dei nostri paese, anche i più piccoli e isolati. La presenza umile e nascosta di Gesù nei tabernacoli deve darci sicurezza e gioia, perché, se lo vogliamo, nella piccola luce che li segnala c'è anche la nostra presenza, anche se noi possiamo essere lì fisicamente. Facciamo in modo che consuetudini antiche, messe nel dimenticatoio dalla nostra vita, diventata troppo velocemente caotica e frettolosa, possano ritrovare nuovi spazi e nuove interpretazioni.

"E quale grande nazione ha leggi e norme giuste come è tutta questa legislazione che io oggi vi do?", dice Mosè. E' lo stesso Gesù che gli risponde, quando afferma: "Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento" (Mt 5,17). Una riprova di questo "pieno compimento" ci viene anche dal vangelo di oggi. Gesù spazza via con decisione le incrostazioni con le quali la meschinità del cuore umano aveva ricoperto le leggi e le norme giuste di Mosè. Agli scribi e ai farisei, allarmati dal fatto che i suoi discepoli - incoraggiati dal loro Maestro, che quando era invitato a pranzo dai farisei non rispettava questa tradizione (Lc 11,38) - non facessero tutte le abluzioni di rito, Gesù dichiara con forza che il comandamento di Dio non può essere immiserito da "tradizioni degli uomini", che vedono il male nelle cose, non nelle intenzioni del cuore, da dove "escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza". Ciò che vuole Dio è il suo comandamento: "che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi" (Gv 15,12), specificato e sminuzzato con tutti i gesti della sua vita, e riassunto dall'apostolo Giacomo con la stringatezza che lo contraddistingue: "Religione pura e senza macchia davanti a Dio Padre è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo".

Come può contaminarci il mondo?
Una delle contaminazioni più insidiose e pericolose è proprio quello di non apprezzare come si dovrebbe il "dono perfetto" venuto dall'alto: il suo figlio venuto tra noi e rimasto per sempre con noi nell'Eucaristia.


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