Il tempo non è angoscia, ma un dono

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario - Anno B - 2015

Gesù invita i suoi discepoli e i suoi ascoltatori alla vera sapienza, che sa riconoscere la provvisorietà di ciò che si costruisce nella storia, ma anche la fecondità del tempo, perchè gravido di eternità, e quindi da vivere come dono e compito. 

Per comprendere il vangelo di oggi è utile conoscere il contesto del brano che la liturgia ci propone. Mentre esce dal tempio, un discepolo invita Gesù ad ammirarne la magnificenza: "Maestro, guarda che pietre e che costruzioni!". Gesù lo gela: "Vedi queste grandi costruzioni? Non sarà lasciata qui pietra su pietra che non venga distrutta". Poco dopo, Gesù è seduto ad ammirare il tempio dall'alto de monte degli Ulivi. Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea, che avevano sentito le terribili parole del Maestro, gli chiedono: "Di' a noi: quando accadranno questa cose e quale sarà il segno quando tutte questa cose staranno per compiersi?" (Mc 13,1-3).

Gesù, prendendo spunto dalla distruzione del tempio, parla della fine della realtà terrena, concludendo con un'affermazione che è logico intendere come una risposta alle domande dei suoi ascoltatori: "Quando però a quel giorno o a quell'ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre". Noi gli avremmo fatto sicuramente la stessa domanda, perché a noi come ai discepoli interessa il quando. Pensiamo alla fortuna di indovini, maghi, visionari...

A Gesù invece interessa farci prendere coscienza che, vivendo nel tempo, siamo provvisori, e che ciò conta non è viverlo, preoccupati di sapere quando finirà, ma in modo che non sia stato vissuto invano.

Lo vivremmo invano se, illudendoci che il tempo è tutto ciò che abbiamo, cercassimo di spremerlo per arraffare tutto ciò che è possibile prima che esso finisca, vivendo giorno per giorno. Ne facciamo la nostra ricchezza e la nostra salvezza se lo riempiamo di bene, in modo che quando il Figlio dell'uomo "manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo", saremo scelti per "la vita eterna" e non per la "vergogna e per l'infamia eterna".

Con altre parole, possiamo vivere la nostra provvisorietà con l'angoscia che il nostro tempo finisca prima di essere riusciti ad avere tutto ciò che desideravamo, oppure come l'opportunità per portare la vita al di là tempo, qualunque ne sia la durata.

E' questo che vuole far capire Gesù ai discepoli che gli chiedono: "Quale sarà il segno quando tutte questa cose staranno per compiersi?", rispondendo: ""Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l'estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte". Egli non paragona la nostra provvisorietà all'autunno che spoglia gli alberi e li porta nudi e scheletriti verso il gelo e il buio dell'inverno, ma alla primavera che intenerisce i rami, li riveste di foglie e li spinge verso l'estate, il tempo dei frutti maturi e del sole pieno.

Allora, la provvisorietà è angoscia o dono?

La fede, con il salmista, è per il dono: "Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita. Per questo gioisce il mio cuore ed esulta la mia anima; anche il mio corpo riposa al sicuro, perché non abbandonerai la mia vita negli inferi, né lascerai che il tuo fedele veda la fossa".

E l'intelligenza? Anche! Se non ci si illudesse che tutto finisce con il tempo, non ci sarebbero ricchezze ingiuste, avarizie ottuse, liti feroci, prepotenze, corruzione... La vita sarebbe un'avvisaglia di paradiso.


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