La competizione controcorrente

XXV Domenica del Tempo Ordinario - Anno B - 2015

L'istinto dei discepoli di Gesù, come del resto il nostro, è quello di emergere sugli altri, di prevalere: per questo non capiscono i ripetuti inviti del Maestro a farsi piccoli e servi come Lui, fino a donare la propria vita.

"Il Figlio dell'uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà", dice Gesù. I discepoli, cioè i Dodici (è così che Marco li chiama), non comprendono. Che sia loro poco comprensibile il "dopo tre giorni risorgerà" possiamo capirlo. Come avrebbero potuto? Ma le altre parole sono chiarissime. Infatti, proprio perché le capiscono, ma non vanno nella direzione che essi avrebbero voluto, hanno "timore di interrogarlo". Si rifiutano di credere che tutto possa finire in maniera così tragica. Come non comprenderli? Avevano lasciato la famiglia e il lavoro per seguire quest'uomo dal messaggio e dai poteri così straordinari. Non era giusto aspettarsi un po' di gloria? "No, non può finire così". E tornano a discutere chi tra loro fosse più grande.

Arrivati a casa, Gesù insiste per chiarire come stanno le cose, identificandosi con un piccolo: "preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me".

Ma nemmeno questa scena sarebbe bastata. Infatti, non molti giorno dopo, i figli di Zebedeo, suscitando l'indignazione degli altri, spingeranno furbescamente la madre a chiedere per loro i primi posti: uno alla sua destra e l'altro alla sua sinistra (Mc 10,35-43).

Come mai tanta difficoltà a "capire"? Lo sappiamo benissimo. L'istinto a prevalere sugli altri scorreva dentro le vene e i pensieri dei discepoli. Come in quelli di tutti. Come nei nostri. E' il peccato "originale", quello da quale scaturiscono tutti gli altri: volere essere "più", possibilmente come Dio. Altroché: "Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servitore di tutti".

Sappiamo, però che nonostante la nostra riluttanza e le nostre difficoltà, non tanto a capire ma a praticare, Gesù non molla. Nell'ultima cena confermerà il suo messaggio con un segno impossibile da rimuovere o da edulcorare. Dopo aver lavato loro i piedi, dirà: "Capite quello che ho fatto per voi? Vi ho dato un esempio, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi" (Gv 13, 12-15).

Perché questo "accanimento terapeutico" di Gesù contro il desiderio di emergere, di arrivare in alto, di conquistare posizioni, non soltanto naturale, ma benefico, dal momento che la competizione stimola la concorrenza e quindi produce il progresso e il guadagno, come predica la cultura dominante?

Perché questa insistenza a impegnare i suoi discepoli in questa competizione controcorrente, spendendo le proprie energie non per arrivare primi, ma ultimi: "Chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti" (Mc 10,44).

Il perché ce lo illustra san Giacomo con la sua solita drastica schiettezza: "Fratelli miei, dove c'è gelosia e spirito di contesa, c'è disordine e ogni sorta di cattive azioni". Si può resistere a questa motivazione, ma è difficile contraddirla, se apriamo gli occhi sulla realtà, a tutti i livelli: familiare, condominiale, sociale, mondiale. La corruzione, contro la quale alziamo alti lamenti per i guai che l'accompagnano, comincia sempre dalla volontà di prevalere sugli altri.

Come ci troviamo noi cristiani nei confronti della consegna di Gesù?
Ahimè, non veniamo da Marte, perciò anche per noi è forte la tentazione di non voler capire, e continuare a coltivare la sindrome dei figli di Zebedeo: cercare i posti più alti. Magari di pochi centimetri, ma più alti. D'altronde Giacomo non scriveva ai pagani, ma ai cristiani. Perciò il suo richiamo è per noi: per ciascuno di noi, per le nostre istituzioni, per le nostre comunità, per le nostre associazioni, per i nostri gruppi.

Quanta "sapienza che viene dall'alto, pura, pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera" c'è in essi? E, al contrario, quanta gelosia e spirito di contesa, quanto desiderio di prevalere vi si annidano e vi serpeggiano?

Dobbiamo reagire, perché questa competizione controcorrente non è un optional. A Pietro che non voleva in questa logica Gesù dichiara: "Se non ti laverò – cioè se non accetterai di essere l'ultimo come sto facendo io - non avrai parte con me" (Gv 13,8). Possiamo inventarle di tutte, ma senza "competizione controcorrente" non avremo parte con lui.


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