Che cos'è per me, per noi, la fede? È la domanda forte che emerge dalla parola di questa XXII domenica del Tempo Ordinario. Siamo chiamati a dare una risposta personale, consapevole, profonda. Nelle letture troviamo vari esempi di persone "innamorate": Pietro, Geremia... lasciamoci sedurre anche noi!
Cosa è per noi la fede? È una domanda che probabilmente molte volte ci è stata posta, e che sicuramente ci siamo posti. Quali le risposte? Normalmente esse fanno riferimento o a verità di fede da accettare, riconducibili alla razionalità (il Credo); o a comportamenti morali da seguire, quindi inerenti alla vita pratica (il comandamento dell’amore); oppure ad ambedue le cose miscelate variamente insieme. La parola di Dio di questa domenica ci suggerisce una risposta di tipo diverso, perché non direttamente riferita né alla razionalità, né alla operosità, ma a una esperienza umana universalmente conosciuta: l’innamoramento.
“Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre”, confessa Geremia, consapevole che lasciandosi sedurre si è messo in mezzo a un sacco di guai: “Sono diventato oggetto di derisione ogni giorno; ognuno si beffa di me”. Allora vorrebbe smettere, vorrebbe troncare, ma non ci riesce: “Non penserò più a lui, non parlerò più nel suo nome! Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo”.
Quante persone, magari proprio adesso, come Geremia si trovano a rimpiangere il giorno in cui si sono lasciati sedurre da una bella donna o da un bell’uomo, finendo in un mare di guai. Come il profeta, esse vorrebbero troncare, smettendo di pensare a lui o a lei, ma non ci riescono, perché nel loro cuore c’è un fuoco ardente che toglie forza a questa decisione. Così rimangono dentro la situazione, come Geremia, che, nonostante le difficoltà, continua a viverla “pensando a lui e parlando nel suo nome”.
La sua fede nel Signore non consiste nell’accettare dottrine o pratiche da rispettare, ma nel vivere da innamorato con le gioie e i tormenti che questo stato comporta.
La nostra fede nel Signore, per essere autentica e in grado di superare tutte le difficoltà che essa può comportare, dovrebbe essere sempre un atto di amore.
Il vangelo ci offre l’esempio di un innamorato: Pietro. Si è lasciato sedurre da Gesù e niente lo può dividere da lui. Questo rapporto di amore a volte lo esalta (Mt 16,17): “Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli”, altre volte gli procura solenni rimproveri (Mt 16,23): “Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!”, o pesanti brutte figure (Mc 14,37): “Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare una sola ora?”, ma niente lo può separare da lui.
Lasciarsi sedurre da Lui è tutt’altra cosa dall’accettare qualche verità, che non si riesce a comprendere del tutto, o dall’assoggettarsi più o meno volentieri a compiere o a evitare determinati comportamenti. Ma si può credere, senza essere innamorati di lui, in uno come Gesù che dichiara: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”?
Confessa il salmista: “O Dio, tu sei il mio Dio, dall’aurora io ti cerco, ha sete di te l’anima mia, desidera te la mia carne in terra arida, assetata, senz’acqua”. Cosa sono queste parole se non quelle di un innamorato?
D’altronde, quando san Paolo scrive: “Vi esorto, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto”, cosa dice se non: “Innamoratevi di Dio”.
Ma la nostra fede non è così…
Purtroppo. E questo spiega tante carenze della nostra vita di fede personale e comunitaria. E questo dice perché dobbiamo continuare a convertirci.