La fede non conosce percentuali

II Domenica di Quaresima - Anno B - 2021

La fede in Dio è vera e autentica se supera "la prova di Abramo".

«In quei giorni, Dio mise alla prova Abramo: «Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, va' nel territorio di Mòria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò». Queste parole, sempre difficili da accogliere, anche se le abbiamo ascoltate chissà quante volte, suscitano reazioni al limite del rifiuto: "Ma può Dio chiedere azioni di questo genere?". E pur precisando che Dio non comanda ad Abramo di uccidere il figlio, ma lo mette alla prova, cioè vuole verificare il livello della sua fede con «l'ariete, impigliato con le corna in un cespuglio» già pronto; pur spiegando che in quel tempo e in quella regione del mondo, il sacrificio del primogenito era usuale, quindi la prova del patriarca consisteva nel fatto che quel figlio fosse l'unico e ottenuto da Dio dopo anni di promesse, questa reazione negativa non si cancella. Niente da fare! Dentro di noi rimane l'inquietante domanda: "Dio può fare richieste del genere?", e sotto a questa l'altra domanda ancora più preoccupante: "Dio può fare anche a me simili richieste?".

La risposta è sì. Dio può fare proposte di questo genere, anzi fa soltanto proposte di questo genere e può fare solo proposte di questo genere. La "prova" che Dio chiede ad Abramo è per verificare se la sua fede è un sì totale, senza neppure un no piccolo piccolo nascosto in un angolino, oppure se un no c'è. E quale modo migliore per scoprire se il sì è totale che chiedere la disponibilità a sacrificare il figlio unico, nato dalla promessa? È così. Nella fede non sono ammesse percentuali, non ci si può fidare di Dio al settanta, al novanta, o al novantanove per cento, perché la rimanenza, per quanto insignificante, azzera tutto il resto.
"Ma questa è la fede che viene chiesta anche a noi?". Sì. Perché la fede in Dio è questa e non ce n'è un'altra. O è fiducia al cento per cento, oppure non è. Non si può perdonare settanta volte sei, o sessanta volte sei e novantanove. Soltanto settanta volte sette.

"E chi ce l'ha una fede così?". Ce l'hanno tutti coloro che, pur continuando a chiedersi "può il Signore chiedermi questo?", o più spesso "perché il Signore mi chiede questo?", fanno diventare queste domande una preghiera accorata, ma fiduciosa di avere sempre in dono «un ariete, impigliato con le corna in un cespuglio», per un'offerta proporzionata alle nostre forze, così scarse rispetto a quelle di Abramo. La fede, infatti, non è un patrimonio acquistato, o trovato, o conquistato, ma la scelta, continuamente aggiornata, di lasciare la propria terra per andare verso quella che Dio indica. Su questo "andare" Dio vigila e conforta, con un Monte Tabor anche per noi come per gli apostoli.

Sei giorni prima della trasfigurazione sull'alto monte Gesù aveva parlato "apertamente" di cosa lo aspettava a Gerusalemme dove stavano andando: «essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere» (Mc 8, 31-32). Gli apostoli si erano spaventati e per bocca di Pietro avevano ragionevolmente suggerito: "Se è così, non ci andiamo!", provocando il duro rimprovero di Gesù: «Va' dietro a me, Satana! » (Mt 16,23), e la precisazione: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mc 8,34-35). Cioè, o il cento per cento, oppure niente. Consapevole, però, della difficoltà della scelta - egli stesso aveva dovuto raccogliere tutte le sue forze per decidere di «mettersi in cammino verso Gerusalemme» (Lc 9,51) - offre a tutti, attraverso i tre apostoli più restii ad accogliere la sua strada, un lampo di cielo per assicurare che la sua proposta è la strada giusta da seguire: «Questi è il Figlio mio, l'amato: ascoltatelo!».

Ci riguardano questi avvenimenti così grandi e misteriosi? Quando possiamo trovarci coinvolti? Nel nostro piccolo, ci siamo dentro sempre, perché sempre le contrarietà, le difficoltà, gli inconvenienti della vita mettono alla prova la nostra fede, chiedendoci di sacrificare "il nostro Isacco": cioè ciò a cui teniamo di più, ciò che pensiamo di esserci meritato, ciò che ci sembra crudele perdere. Quando la fede è messa alla prova di Abramo, alziamo gli occhi come lui per essere sicuri che c'è anche per noi «un ariete, impigliato con le corna in un cespuglio». Il nostro ariete, la certezza che se nella nostra fede non c'è spazio per le percentuali, non ci sono assolutamente percentuali nell'amore di Dio per noi. Perciò, coraggio: «se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?».


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