La Messa per rimanere in Lui

XX Domenica del Tempo Ordinario - Anno B - 2015

"Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui". "Rimanere" in Gesù Cristo significa essere suoi discepoli.

Essere cristiani – ce lo dobbiamo ricordare sempre – non significa condividere il suo messaggio a livello teorico, né ammirarlo come grande uomo, e neanche pregarlo, ma seguirlo e, umilmente, cercare di vivere come lui è vissuto, uniti a lui come il tralcio alla vite (Gv 15,4-5). Chi e cosa può darci la forza di realizzare questo "rimanere in lui e lui in noi" se non mangiare e bere il suo corpo e il suo sangue, cioè la Messa?

Lo sappiamo che è così?

È bene non esserne troppo sicuri. Purtroppo, forse proprio un'educazione maldestra al "precetto festivo", cioè la preoccupazione di affermare l'importanza della Messa domenicale,soprattutto con il deterrente di un peccato grave in caso di inosservanza, ha dato origine alla mentalità, diffusissima, estremamente sbagliata e negativa della Messa come un dovere da rispettare, come qualcosa da dare al Signore. Diciamola in maniera dura: come una tassa da pagare, per evitare la multa. Così, da un dono della sua vita a noi, la Messa è stata recepita come un'offerta che portiamo noi al Signore, sul tipo dei sacrifici antichi e pagani.

Questa distorsione, la più nefasta che poteva avvenire nei confronti della Messa, ha provocato danni spirituali ancora molto pesanti tra cristiani, che non vanno a Messa con il cuore gioioso per ricevere, ma con il cuore pesante di chi va per obbedire a un comando di cui farebbe volentieri a meno. Per di più la Messa come obbligo ha fatto sì che i sacerdoti non sempre ne curassero la preparazione:"Tanto ci devono venire", e fedeli non si impegnassero a partecipare attivamente:"Ci sto e il mio dovere l'ho fatto".

Dobbiamo reagire fortemente e velocemente a questa deformazione, perché oggi, quando ricorrere al "tu devi" serve solo a ottenere l'effetto contrario, la Messa deve tornare l'appuntamento senza il quale i cristiani, come i martiri di Abitene, "non possono vivere". E' soltanto con la Messa, infatti, che si può realizzare ciò che dice Gesù:"Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me".

Mangiando la sua carne, noi mangiamo Gesù, non per modo di dire, ma realmente; non un Gesù etereo e vago, ma concreto: quello che ha sperimentato la nostra vita di ogni giorno. Quel corpo è quello nato da Maria, in una grotta. Che ha attraversato le strade della terra facendo del bene a tutti. Che si è lasciato mangiare ogni giorno dalla folla. Che ha avuto pietà della gente sbandata, come pecore senza pastore, in cerca di una parola che desse senso e pienezza alla vita. Che ha pianto per la morte dell'amico Lazzaro e per la fine di Gerusalemme. Che ha gioito per l'intimità degli amici e delle amiche, e ha sofferto per i loro tradimenti. Che ha sanato i malati, guarito i lebbrosi, risuscitato i morti. Che si è lasciato toccare da donne giudicate impure. Che si è offerto sulla croce per la salvezza del mondo. Che è risorto per donare la vita eterna.

Mangiando Gesù, noi beviamo il sangue versato sulla croce, per amore di coloro che lo abbandonavano, lo tradivano, lo accusavano ingiustamente, lo insultavano, lo uccidevano; il sangue versato per quelli come Zaccheo, per quelli come la Maddalena, per quelli come Nicodemo, per quelli come l'adultera. E anche per quelli come Giuda, Pilato e i sommi sacerdoti.

Soltanto con questo "cibo e con questa bevanda" noi possiamo vivere non da stolti, ma da saggi, facendo buon uso del tempo.
Soltanto con questo cibo possiamo riuscire a non essere sconsiderati, e saper comprendere qual è la volontà del Signore.

Ascoltiamo, perciò, l'invito della Sapienza che ci chiama dall'alto: "Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato".


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