La Misericordia consola e dà coraggio

II Domenica di Pasqua (o della Divina Misericordia) - Anno C - 2022

Riprendiamo con umiltà e decisione il cammino dietro il Risorto.

Questa domenica che segue immediatamente la Pasqua offre tre immagini della Misericordia di Dio che incoraggiano a riprendere con serenità e coraggio il cammino alla sequela del Risorto. Forse anche per questo motivo, nel 2000, Giovanni Paolo II decise che questa diventasse la Domenica della Divina Misericordia, invece dell’antico “in albis” che richiamava un rito dell’antico Battesimo.

Nostro fratello Tommaso

La prima immagine è inevitabilmente quella di Tommaso che esige una prova tangibile e visibile della risurrezione di Gesù: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Con questa esigenza Tommaso diventa nostro fratello, non tanto nel dubitare della risurrezione di Gesù, ma in quella nostra. È su di essa, infatti, che vorremmo avere qualche prova da vedere, da toccare, perché i dubbi non smettono mai di insinuarsi, anche se sappiamo che devono essere vinti, come afferma San Paolo in modo perentorio: «Se non vi è risurrezione dei morti, neanche Cristo è risorto!» (1Cor 15,13). Invece, soprattutto nei momenti personali o sociali o mondiali più aggrediti dalla morte – come in quelli che stiamo vivendo – ritornano prepotenti, come persino papa Francesco ha sottolineato. Non dobbiamo averne paura. Il Signore, pur invitando l’apostolo Tommaso a «non essere incredulo ma credente», e definendo «beati quelli che non hanno visto e hanno creduto», si rende disponibile a farsi vedere e toccare. Sarà misericordioso anche con noi, aiutandoci a vivere la nostra fede come un continuo passare dal “se non vedo e non tocco non credo” al fiducioso: «Mio Signore e mio Dio!».

La comunità di Gerusalemme

La seconda immagine è la comunità dei credenti di Gerusalemme. Il confronto con essa, sia come fede personale, che come Chiesa, può essere scoraggiante. Quella era esaltata dal popolo, aveva una grande forza di attrazione, e «sempre più venivano aggiunti credenti al Signore». Quella nostra, invece della capacità di attrazione e di crescita sperimenta la marginalizzazione, il disinteresse, l’abbandono. Questa immagine non deve intristirci ma rassicurare e scuotere, perché l’energia della Chiesa primitiva veniva dalla presenza del Risorto che aveva assicurato: «Non vi lascerò orfani: verrò da voi» (Gv 14,18); «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno» (Lc 12,32). Senza questa presenza, Pietro, con ancora forte l’eco delle sue ricorrenti debolezze e dei suoi passeggeri entusiasmi, nonché del suo drammatico rinnegamento, non si sarebbe ritrovato a guarire «malati e persone tormentate da spiriti impuri», sfiorandoli con la sua ombra. Gesù non lascia orfani nemmeno noi, però, sia come credenti che come Chiesa, non dobbiamo temere di essere un piccolo “gregge”, e confidare più nella sua Misericordia che nelle nostre paure, nei nostri lamenti, nei nostri espedienti.

Il «Primo e l’Ultimo, e il Vivente»

La terza immagine è togliere dagli occhi il velo del presente per vedere oltre. Ce la propone l’apostolo Giovanni con l’Apocalisse (che non significa disastro, ma togliere il velo, rivelazione). Egli si trova a Patmos, un'isola dell'Egeo, esiliato dall’imperatore Domiziano, fratello di Tito il conquistatore di Gerusalemme. È compagno nella tribolazione con tutti i fratelli nella fede, che sotto persecuzione, con i testimoni oculari che stanno scomparendo, rischiano di cedere ai dubbi, perché il Signore non compare per rassicurarli, facendosi vedere e toccare. Sembra tutto finito e fallito, invece: «una voce potente, come di tromba» gli dice: «Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese» (“sette”, cioè a tutte, anche alla nostra, e a ciascuno di noi). E cosa vede? «Uno simile a un Figlio d’uomo, con un abito lungo fino ai piedi e cinto al petto con una fascia d’oro». È il Risorto, che ponendo su di lui la destra, proclama: «Io sono il Primo e l’Ultimo, e il Vivente». Niente è fallito, niente è finito, tutto vive con lui. Sicuri della sua misericordia, abbandoniamo dubbi e paure, e non stanchiamoci mai di ripetere: «Mio Signore e mio Dio!».


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