La pace di Gesù è una battaglia

XX Domenica del Tempo Ordinario - Anno C

Vivere la fede correndo e con gli occhi sul Campione.

«Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra?», chiede Gesù ai discepoli. Immaginiamo che questa domanda venga rivolta a noi, adesso. Come risponderemmo? Gli diremmo di sì: “Certamente che sei venuto a portare pace! «Pace a voi!» è il tuo saluto quando sei comparso agli apostoli la sera della tua risurrezione (Lc 24,36); l’avevi promessa la sera dell’ultima cena: “«Vi lascio la pace, vi do la mia pace» (Gv 14,27); noi ti chiamiamo “principe della pace”; ci scambiamo la tua pace prima di fare la comunione e ti cantiamo: “dona a noi la pace”. Certo che sei venuto a portare pace sulla terra!”.
E se Gesù ci rispondesse come ai discepoli: «No, io vi dico, ma divisione»? Rimarremmo sicuramente spiazzati, meravigliati e desiderosi di verificare se tra la nostra conoscenza di Gesù e quello che egli effettivamente è ci sia armonia oppure contrasto. Una verifica veloce è facile: basta ricordare che Gesù ha promesso “la sua pace”, e che ce la dà non come la dà il mondo, ma a modo suo.

La pace del mondo

La pace del mondo e come la dà il mondo lo sappiamo. È assenza di guerra per equilibrio dissuasivo di forze contrapposte (es. Il muro di Berlino); è sottomissione a chi ha più potere e repressione delle contestazioni (Russia e Ucraina); è stare bene e che gli altri non ci disturbino. Quella di Gesù invece è un fuoco che accende divisioni e contrasti in tutti e dovunque: «se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre…». Questo perché il Vangelo è un fuoco venuto dall’alto per contrapporsi e combattere la pace falsa del mondo: la paura, la sottomissione, la spensieratezza. Questa battaglia richiede di compiere delle scelte che possono dividere i padri dai figli; il collega dai colleghi; gli amici dagli amici; gli uomini contro le donne…, persino i fedeli dal Papa. Si può dire perciò che la pace di Gesù è la divisione dalla pace del mondo e da tutto ciò che la prepara.

Operatori di pace

La pace di Gesù non basta gridarla, sperarla, invocarla, come spesso succede (troppo spesso!) in quella del mondo. È necessario farla, diventando “operatori di pace”, costruendola dal basso con il “materiale” del Vangelo, seguendo l’esempio e la testimonianza di Gesù. Non stancamente o, peggio, tristemente come fosse un peso da sopportare, ma con convinzione, con coraggio, con continuità con lo sguardo fisso su di lui per seguirlo e imitarlo. L’autore della Lettera a gli Ebrei, nella seconda lettura, dopo avere indicato l’esempio di coloro che hanno avuto coraggio di seguire e testimoniare la fede (da Abramo fino a coloro che stavano affrontando il martirio nelle prime persecuzioni) immagina i cristiani come atleti che gareggiano nel circo, sostenuti dall’incoraggiamento degli spettatori sugli spalti: «Circondati da un grande numero di testimoni, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti». E chi ci sta davanti? Gesù.

Lo sguardo sul campione

«Tenendo fisso lo sguardo su Gesù». È bellissimo, perché richiama una esperienza che anche soltanto umanamente è esaltante: lo sguardo sul campione. In tutte le gare sportive chi vuole vincere o comunque ottenere buoni risultati fa la corsa sul primo, sul campione, per stargli dietro, per non lasciarsi staccare, e se possibile superarlo. Chi non fa così finisce per perdersi nelle retrovie, o per finire fuori tempo massimo. È ciò che ci chiede l’autore sacro: tenere fisso lo sguardo su Gesù per seguirlo nella battaglia per costruire la sua pace, cercando di non farci staccare, mettendocela tutta per reggere il suo ritmo e i suoi tempi. La fede come una gara sportiva. È una immagine molto cara a san Paolo: «Non ritengo in nessun modo preziosa la mia vita, purché conduca a termine la mia corsa» (At 20,24); «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede» (2 Tm 4,7). Se nel costruire la pace di Gesù ci stiamo distaccando troppo da lui, è necessario e urgente riprendere a correre.


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