La pecora, la moneta, il figlio giovane siamo noi

XXIV Domenica del Tempo Ordinario - Anno C - 2019

La certezza fiduciosa di non essere mai dimenticati e respinti.

Le tre parabole del vangelo che questa domenica ci propone, chiamate "della misericordia", sono conosciutissime, bellissime, predicatissime, ma non sempre accolte nel loro messaggio spirituale profondo. Può accadere infatti che residui di commenti, spiegazioni, riflessioni del tempo del catechismo e di prediche poco accorte, inducano ad ascoltarle come fossero racconti, lavorando di fantasia sui particolari narrativi per renderle più attraenti e commoventi: il triste e lungo vagare sui monti della povera pecorella triste e impaurita che finisce imprigionata tra i rovi; le avventate peripezie del giovane scappato da casa, prima di finire miseramente a pascolare i porci. Infatti la parabola dalla moneta perduta, sulla quale si può fantasticare poco, viene lasciata in secondo piano. Così, però, le parabole perdono il loro significato, perché Gesù non racconta per stimolare la fantasia degli ascoltatori, ma parla in parabole per confondere i ragionamenti umani e invitare alla conversione.

Nella prima parabola, quindi, non sono importanti le vicende della pecora, ma il comportamento del pastore che la cerca «finché non la trova», che «pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: "Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta"». Il protagonista non è la pecora, ma il pastore. È sua l'azione e suoi i sentimenti.

Nella parabola della moneta persa, da meditare sono le azioni e le emozioni della donna che «accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova. E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: "rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto"».

Nella terza parabola, il padre sembra passivo rispetto al pastore della prima: non va a cercare il figlio per metterselo sulle spalle. Non avrebbe potuto, perché, il figlio era stato lasciato liberamente andare via. Però, da come lo accoglie, dimostra che spiritualmente e sentimentalmente lo ha cercato angosciosamente ogni giorno: «Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò... disse ai servi: "Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l'anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa"». Il figlio, invece, si è completamente dimenticato del padre finché i crampi della fame non gli hanno richiamato alla memoria "il pane in abbondanza" della sua casa.

Non serve, perciò, fantasticare sulle peripezie della pecora smarrita e del giovane scappato di casa. Ciò che conta è prendere atto che il pastore, la donna, il padre sono il Signore, e che la pecora smarrita, la moneta persa, il figlio giovane siamo noi, e trarne le conseguenze: ammirare, lodare la sua misericordia gratuita, dal punto di vista umano perfino ingiusta e irritante, come dimostra la reazione del figlio maggiore, e confidare in essa; essere grati e fiduciosi, perché ci cerca quando ci allontaniamo da lui, e ci corre incontro quando ritorniamo dopo avere "divorato le sue sostanze": l'intelligenza, la libertà, la capacità di amare.

C'è un insidioso pericolo da evitare: pensare di non essere bisognosi di questa misericordia senza limiti, perché noi, tutto sommato, abbiamo sempre "servito" il Signore e non abbiamo mai trasgredito i suoi comandi. Se la pensiamo così, siamo con il figlio maggiore fuori della porta. Il Padre ci sta invitando a entrare. Ascoltiamolo.


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