La provvisorietà è una risorsa

III Domenica del Tempo Ordinario - Anno B

La conversione non è un insieme di piccoli atti ma una scelta di vita.

Anticipato dalla vicenda del profeta Giona, che annuncia malvolentieri agli abitanti di Ninive l’urgenza di convertirsi, sperando che non si convertano, altrimenti Dio li perdonerebbe - come in effetti accade -, il Vangelo ci propone Gesù che, mentre sta componendo il gruppo dei suoi collaboratori, inaugura la sua missione in Galilea con un annuncio: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo». A differenza del profeta Giona, che chiede la conversione con la minaccia della punizione, Gesù lo fa come realizzazione del piano di salvezza di Dio.
Anche se chissà quante volte lo abbiamo fatto, siamo di nuovo esortati a una riflessione sulla conversione, che, però, non è superflua, data la sua importanza: le parole con cui Gesù la chiede, sono secondo l’evangelista Marco, le prime parole che Gesù pronuncia sulla terra. È da considerare poi che non di rado alla parola “conversione” è stato - ed è! - attribuito un significato non adeguato e a volte addirittura sbagliato. Essa infatti viene intesa come un cambiamento di pensieri, di parole, di comportamenti e di omissioni: pensieri di odio e di rancore cancellati; parole poco rispettose e volgari abbandonate, così come bugie, cattiverie e pettegolezzi; scatti di impazienza e di ira evitati, eccessi nel mangiare e nel bere e nel guidare messi sotto controllo; gesti di amicizia e di solidarietà recuperati… Tutte conversioni che hanno poco o niente a che fare con la Conversione, quando sono gesti isolati dettati da motivazioni di buona educazione più che da risposte all’invito evangelico.

Una scelta di vita

La conversione che chiede il Signore è il cambiamento della nostra concezione della vita; è il passaggio dalla convinzione che tutto si gioca dentro l’orizzonte terreno, al fatto che siamo in viaggio verso la vita piena, vera, eterna. Questa scelta comporta che tutto quello che pensiamo, diciamo, facciamo, omettiamo diventi i passi di un viaggio, non un girarsi intorno secondo le esigenze, i desideri e le voglie del momento. Per comprendere meglio ci viene in soccorso san Paolo con le poche parole che abbiamo ascoltato nella seconda lettura: «quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente: passa infatti la figura di questo mondo!». La figura di questo mondo, cioè quello sembra; la realtà, quello che è: il regno di Dio.

L’esortazione di San Paolo, al primo impatto, può sembrare togliere valore a questa vita, rendendola incolore e scialba in attesa di un’altra che verrà. Non è così! Egli esorta a vivere tutto: famiglia, lavoro, sofferenze, gioie, amicizie, beni terreni, soldi… senza fermarsi in questi traguardi soltanto apparenti, ma vivendoli come passi verso la vita eterna. L’Apostolo, in armonia con tutto il messaggio evangelico, chiede di non farsi conquistare dalla “figura” delle cose, ma di viverle nella consapevolezza di quello che valgono nella loro provvisorietà. Se non intendesse questo smentirebbe la sua raccomandazione al discepolo Timoteo: «Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato» (1 Tm 6,12); e l’esortazione agli Efesini: «Prendete dunque l'armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno cattivo e restare saldi dopo aver superato tutte le prove» (Ef 6,13).

La testa e il cuore

A Simone, Andrea, Giacomo, Giovanni, e agli altri che sta chiamando a diventare suoi collaboratori, Gesù non chiede di sottovalutare l’impegno quotidiano, ma di farlo diventare un’avventura. Egli non vuole “fioretti” quando capita e quando si può, ma la “testa” per sceglierlo e il “cuore” per seguirlo.
I Dodici non lasciarono le reti, il lavoro, la famiglia per mettersi a riposo in attesa del Regno di Dio, ma per costruirlo con lui. È quello che chiede anche a noi. Sappiamo che per gli Apostoli non è stato facile, come per tutti coloro che li hanno seguiti nella fede fino a noi. È impegnativo più che mai per noi, immersi nella “adorazione” dell’immagine: la “figura” delle cose. Però abbiamo in Gesù un influencer che non vende, ma invita a costruire con lui, senza rischi di imbrogli.


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