La solitudine non è nei piani di Dio

Santissima Trinità - Solennità - Anno C - 2022

Chiamati a vivere “l’immagine e la somiglianza” nella quale siamo stati creati.

Nel secondo secolo dopo Cristo, Tertulliano, un “intellettuale” cristiano, riassunse nella parola “Trinità” tutti i riferimenti che i testi sacri fanno a Dio che è Padre, che è Figlio che è Spirito Santo, dai più espliciti («Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» Mt 28,19) ai più accennati: «Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità… Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

Trinità

Questo nome, rilanciato in maniera definitiva da Sant’Agostino, facilitò gli studi e le riflessioni dei teologi, ma probabilmente rese più difficile riferirsi a “Dio Trinità” – una parola astratta che prima di tutto annuncia la sua difficoltà a essere capita – nella preghiera personale, che ha bisogno di immagini e nomi concreti alle quali rivolgersi. Infatti, anche la liturgia fa sempre riferimento alle tre Persone nelle sue formule («Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli»), e nel segno di croce, il segno identificativo dei cristiani.

Comunità di amore

L’alternativa a Dio “Trinità” è “comunità di amore”. Pensare a Dio e pregarlo come Padre che crea, Gesù che redime, Spirito Santo che fa comprendere e consola, rende più facile il dialogo con lui, perché “comunità di amore”, facendo parte delle nostre conoscenze ed esperienze, stimola il confronto con quella divina, esortando a meditare, a lodare, a ringraziare, a chiedere perdono e misericordia per le distanze e la carenza da quella perfetta e infinita.

A sua immagine e somiglianza

Dio ci ha creati a sua «immagine e somiglianza». Ma come si fa a vivere l’essere immagine e somiglianza della Trinità, cioè di un “mistero” che è al di fuori della nostra capacità di comprensione? Forse è stato possibile – ed è possibile – ai grandi santi e alle grandi mistiche (San Francesco, padre Pio, Santa Caterina da Siena, Santa Teresa d’Avila…), ma non a noi cristiani feriali, che a stento riusciamo a ricavare momenti di preghiera tra le corse e gli affanni quotidiani. Forse è possibile, per quanto riguarda la Trinità, fare un’eccezione alla preghiera di Gesù: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli» (Lc 10,21)? Nessuna eccezione, perché l’immagine e somiglianza di Dio non va costruita. Essa è dentro di noi. È l’impronta di Dio che ci ha creati.

Questa è la nostra grandezza, la nostra responsabilità. Dio, non un solitario, ma comunità di amore, non ci ha creati per essere solitari e per creare solitudine. Quando prendiamo questa strada offuschiamo la sua immagine in noi, la rendiamo inefficace, la offendiamo; così come quando rendiamo o abbandoniamo gli altri nella solitudine.
Questo dicono i testi sacri, supportati, però, anche dalle scienze umane che dimostrano i danni e i pericoli della solitudine in tutte le età della vita. Il bambino che si sente solo, sarà un insicuro e uno scontento. Il ragazzo senza amici rischia di avviarsi verso scelte sbagliate. L’adulto che si ritrova senza affetti si sente un fallito. L’anziano lasciato solo perde la voglia di vivere.

Gloria, onore, onere

Il salmo che la liturgia ci invita a pregare recita: «che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi? Davvero l’hai fatto poco meno di un dio, di gloria e di onore lo hai coronato». Questa grandezza va rispettata, conservata, coltivata vivendo non da “solitari” ma in comunione e in relazione, come il Padre, il Figlio, lo Spirito. Sempre. Con tutti. Meglio, con tutto, perché – lo hanno scoperto anche gli scienziati – l’impronta di Dio “comunione” è presente in tutto il creato. Non tenere conto di questa verità significa rompere l’armonia e danneggiarlo, come purtroppo stiamo constatando.
La nostra gloria e il nostro onore è essere a sua immagine, ma è anche il nostro onere.


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