La tenacia della gioia

III Domenica di Avvento (Gaudete) - Anno B

Tutti i doni di Dio vanno invocati, accolti, praticati.

La parola di Dio di questa terza domenica, che ci porta velocemente al Natale, ruota tutta intorno alla gioia, con sfumature diverse in ogni brano. «Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio», dichiara Isaia, per essere stato chiamato a una missione di grande responsabilità: «il Signore mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del Signore»; e a collaborare nel far germogliare la giustizia e la lode davanti a tutte le genti.
La gioia del profeta (una trasparenza del Messia) scaturisce dalla riconoscenza per la missione affidatagli.

«L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore», canta Maria. La sua esultanza è gioia arricchita da lode e da meraviglia per le “grandi cose” che l’Onnipotente, per il quale niente è impossibile, sta realizzando con la sua umile vita: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva».

Paolo esorta a trasformare la gioia nel vissuto, in impegno e strumento per una vita buona: «Fratelli, siate sempre lieti, pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie: questa infatti è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi. Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono. Astenetevi da ogni specie di male».

Giovanni Battista è mandato da Dio per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui a Gesù, che cambierà la nostra «tristezza in gioia, in gioia piena"» (Gv 15,11).

Una gioia impegnativa

«Siete sempre lieti», esorta - quasi comanda - Paolo. Ma quale gioia dobbiamo cercare e vivere? Come essere lieti “sempre” in una vita così abbondante di tristezze? La gioia che la parola di Dio ci chiede di praticare non è ovviamente la contentezza delle nostre feste, comprese quelle religiose, anche quella per il Natale, se esse non sono segnali della ricerca della gioia vera, ma soddisfazioni, contentini per alleggerire le stanchezze e le pesantezze della noia e dell’insoddisfazione; o a illusioni tipo che lo sballo da weekend sia capace di dare l’energia per affrontare il lunedì.

Ma allora che gioia è quella che Paolo ci chiede e da quale fonte può scaturire?
È la gioia per essere “consacrati” come il profeta, e inviati come il Battista a rendere testimonianza alla luce, a Gesù, per diventare, nel nostro piccolo, annunciatori e testimoni di bontà e di misericordia.
È l’esultanza di Maria, perché il Signore si serve della nostra “umiltà” per compiere cose grandi.
È la fede che luce è scesa tra le tenebre e le tenebre non l’hanno vinta e non la vinceranno.
È la speranza che il Signore Dio farà «germogliare la giustizia e la lode davanti a tutte le genti».
È un dono da invocare, da accogliere, da praticare anche quando sembra impossibile trovarla e viverla nei momenti oscuri della vita personale, sociale, mondiale.

Un dono da battaglia

Questa gioia che il Signore ci dona e ci chiede di praticare non la si trova con i convenevoli, l’allegria, la baldoria, ma con la «buona battaglia della fede» (1Tm 1,18), combattuta con la virtù della “fortezza”, la terza delle virtù cardinali. Essa, che «assicura la fermezza nelle difficoltà e la costanza nella ricerca del bene, giungendo fino alla capacità dell’eventuale sacrificio della vita per una causa giusta» (Compendio Catechismo Chiesa Cattolica 382), rende possibile che tutta la persona: «spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro».
La pratica di questa virtù, non molto frequentata perché può essere sostituita con ritrovati e surrogati di ogni tipo e poco faticosi, ci impegna spiritualmente a una fede bella e gioiosa. Ma siccome non siamo soltanto spirito ma anche anima e corpo, deve renderci persone positive che sanno comunque e dovunque trovare o recuperare coraggio, conforto e gioia, e essere di stimolo per invocarli, accoglierli, praticarli.


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