Non Marta o Maria, ma le due sorelle in armonia.
La parola di Dio di questa domenica propone due racconti esemplari di ospitalità, un messaggio di grande attualità per la frettolosa vita attuale, nella quale non c’è posto per nessuno, perché tutti gli spazi sono occupati dalla fretta, dalla corsa, dagli occhi e dagli orecchi fissi sul cellulare, dall’ansia per imprevisti.
Il primo racconto riguarda il patriarca. Seduto all’ingresso della sua tenda nell’ora più calda del giorno - quella della pennichella -, vede tre uomini accanto a lui e subito li invita a fermarsi: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo». Sono tre, ma egli si rivolge a loro come se fossero uno solo: un misterioso accenno alla Trinità? Essi accettano e Abramo organizza un’accoglienza che a noi, impazienti se il cameriere ritarda qualche minuto, sembra incredibile. «Andrò a prendere un boccone di pane - dice agli inattesi ospiti - ristoratevi e dopo partirete». Il boccone di pane con il coinvolgimento di Sara diventa: focacce fresche di cottura, panna, latte fresco e vitello tenero. Cosa pensare? Non basta il riferimento alla tradizionale ospitalità orientale. Forse la spiegazione è che se l’ospite è Dio niente è sovrabbondante ed esagerato nell’accoglierlo. E Dio non arriva mai a mani vuote, come afferma l’autore della Lettera agli Ebrei: «Non dimenticate l'ospitalità; alcuni [Abramo e Sara], praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli» (Eb 13,2), che recavano una promessa: «tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio».
Il secondo racconto, particolarmente bello e significativo, anche perché è più alla nostra portata, anzi sembra accaduto ieri o addirittura che stia accadendo adesso, è quello delle due sorelle che ospitano Gesù. Questo brano è spesso utilizzato per separare due stati di vita: la attiva e la contemplativa, schierandosi o dalla parte “contemplativa” (Maria), oppure quella “attiva” (Marta), con il rischio di concludere che i cristiani normali devono darsi al fare, lasciando preghiera, meditazione, silenzio a quelli che non devono pensare a procurarsi il pane e il companatico. Questa interpretazione toglie respiro al messaggio evangelico, perché Gesù, rimproverando benevolmente Marta (il nome ripetuto: «Marta Marta» è carico di amicizia e benevolenza) non aveva in mente né le monache di clausura, né le donne impegnate tra il lavoro fuori casa e quello domestico; né gli eremiti in meditazione sul monte, né gli operai sulle impalcature, ma tutti gli uomini e le donne di ogni tempo e di ogni condizione. Le monache di clausura sono chiamate a essere Marta e Maria, esattamente come le donne in corsa tra una attività e l’altra; così come gli eremiti e i manager che trascorrono la giornata volando tra Milano e Parigi.
In realtà Gesù ci invita a essere nello stesso tempo Marta e Maria, creando armonia tra azione e ascolto, tra fare e pensare, come faceva lui con una vita attiva, anzi superattiva («tanto che non potevamo neppure mangiare», annota l’evangelista Marco, cfr. 3,20), armonizzata dall’ascolto e dal colloquio con il Padre.
«Maria ha scelto la parte migliore», dice Gesù, ma se lei lo avesse aspettato affacciata alla finestra, senza aiutare la sorella a preparare la tavola, avrebbe rimproverato anche lei. E se Marta gli avesse servito per pranzo pane secco e companatico alla meno peggio, non avrebbe accettato altri inviti in quella casa.
Gesù non rimprovera Marta perché si sta dando da fare, ma perché si agita e si affanna, perché va oltre, perché esagera, perché più che ospitare si propone di sbalordire il suo ospite. Per evitare di ricadere nella diatriba tra vita attiva o contemplativa facciamo attenzione al messaggio, attualissimo e urgente: non vi agitate, non vi affannate per ciò che non è necessario; sappiate creare armonia tra ciò che è materiale e ciò che è spirituale; tra le cose da fare e le persone da ascoltare.