L'alto monte e la pianura

II Domenica di Quaresima - Anno B

Il dono di capire e la forza per agire.

La prima lettura di questa domenica, il brano della Genesi comunemente chiamato “il sacrificio di Isacco”, può dare all’ascolto della parola di Dio e alla celebrazione eucaristica - che deve sempre essere un rendimento di grazie e non una sofferenza - un sottile e fastidioso rifiuto di un Dio che chiede a un padre il sacrificio di un figlio, l’unico, e avuto dopo un’attesa lunga tutta la vita. L’interrogativo inquietante e anche timoroso perché potrebbe sembrare peccato assecondarlo, è: “Può Dio essere padre buono se chiede prove di questo genere?”. La domanda diventa straziante, fino spesso al rifiuto della fede, in madri che hanno perso figli, in figli che hanno perso genitori, in sposi che hanno perso i coniugi, in coloro che hanno perso tragicamente amici. Praticamente in tutti! In realtà, se davvero Dio avesse chiesto ad Abramo di sacrificare Isacco e chiedesse a noi qualcosa di simile (come non di rado è stato predicato, si spera non più) diventerebbe difficilissimo un rapporto di fede, di amore, di gratitudine con lui. Invece una lettura più attenta rende evidente che Dio non chiede ad Abramo il sacrificio del figlio, che infatti non verrà sacrificato, ma la prova per verificare se la sua fede è capace di reggere una richiesta così terribile. Dio infatti dice: «Perché tu hai fatto questo e non hai risparmiato tuo figlio, il tuo unigenito, io ti colmerò di benedizioni». “Questo” non è il sacrificio del figlio, che non c’è stato, ma la disponibilità a dire sì.

Il sacrificio del “figlio diletto”

Questa riflessione è necessaria, perché un Dio che chiedesse sacrifici così enormi e tragici andrebbe tenuto lontano (quanti hanno lasciato la fede per questo motivo?), ma soprattutto perché un’idea di Dio così complica e inquina il senso della missione di Gesù. Via quindi un’idea di Dio di stampo pagano! Se Dio non chiede ad Abramo di sacrificare Isacco, può esigere il sacrificio del suo Figlio innocente per scontare i peccati degli altri? Se fosse così, non sarebbe un Dio vendicativo? Pensare questo di Dio non sarebbe una specie di bestemmia? Ma non è così. Il Padre non ha mandato il suo figlio nel mondo per placare il suo sdegno contro i peccatori, ma per ricreare l’armonia con le sue creature e riportare a lui i figli che lo avevano abbandonato. Il sacrificio di Gesù è un gesto d’amore. A fare intervenire la passione e la croce è stata la cattiveria nostra, non una soddisfazione di Dio.

Un alto monte anche per noi

Racconta Marco: «Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli». Perché? Nei giorni immediatamente precedenti a questa salita, prima di essere trasfigurato, Gesù aveva parlato “apertamente” di cosa lo aspettava a Gerusalemme, dove si stavano recando. Gli apostoli si erano spaventati. Pietro, rimediando un duro rimprovero, aveva prontamente suggerito di cambiare strada, invece Gesù si era espresso con maggiore chiarezza: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua». Cioè, la fede in lui deve essere o al cento per cento, oppure niente; o il pronto “eccomi” di Abramo, oppure niente; o il suo: «Eccomi, manda me!» al Padre, oppure niente. Consapevole, però, della difficoltà della scelta - egli stesso aveva dovuto raccogliere tutte le sue forze per decidere di «mettersi in cammino verso Gerusalemme», offre un lampo di cielo e di gloria ai tre apostoli più restii ad accogliere la sua strada con la voce dalla nube: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!».

Ma niente capanne

Immersi in quel momento di gloria, i tre apostoli avrebbero voluto fermarsi lì: «È bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Ma niente capanne. Non servivano, perché era rimasto soltanto Gesù, pronto a tornare in pianura. I tre non capirono bene cosa fosse accaduto, e Gesù non lo spiegò, anzi ordinò loro di non raccontarlo a nessuno, se non dopo la sua risurrezione dai morti, che non sapevano cosa fosse. Capiranno tutto molto presto, sperimentandone la grandezza e la difficoltà.
E noi che sappiamo tutto quello che è accaduto? Noi siamo chiamati a pronunciare il nostro “eccomi”, pregando il Padre di concederci momenti di “alto monte” per capire, e la forza di scendere in pianura, la vita quotidiana, per agire.


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