Lampade accese e olio di riserva

XXXII Domenica del Tempo Ordinario - Anno A - 2020

La provvisorietà della vita non come angoscia ma come risorsa.

Se il brano del Vangelo di questa domenica fosse un racconto, come il cieco di Gerico, o Zaccheo, o tanti altri, ci creerebbe seri problemi, perché o dovremmo considerarlo falso, oppure rivedere tutto il resto del Vangelo. Infatti le ragazze definite "sagge" e additate ad esempio si comportano esattamente secondo la logica umana. «Dateci un po' del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono», chiedono le amiche. Rispondono: «No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene». Cioè: "Mica siamo sceme! Se una cosa serve a noi non la diamo sicuramente a voi". Simpatiche! Che cristiane sarebbero queste vergini sagge che si comportano esattamente al contrario del buon samaritano? Per cosa poi? Per un po' di olio. Il brano, però, non è un racconto, ma una parabola, quindi va letto e interpretato, tenendo conto che i particolari narrativi sono esagerati e inusuali proprio per sorprendere, al fine di stimolare a riflettere sul messaggio innovativo e contestatario rispetto alla mentalità corrente, che viene rivelato dalla conclusione dello stesso narratore, come in questo caso fa Gesù con il suo deciso: «Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora».

Ma di cosa parla Gesù? Di quale giorno e di quale ora? Chi è lo sposo che deve arrivare e deve trovarci ad attenderlo pronti con le lampade accese? Lo sposo è Gesù stesso, non più come compagno di strada, ma come giudice della storia: «Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria». Lo sappiamo dal contesto. In questo capitolo, come nel precedente e nel seguente Gesù con altre parabole (i talenti, il padrone di casa che torna all'improvviso), con paragoni (la pianta di fico), con profezie (la fine di Gerusalemme e la distruzione del Tempio) esorta i suoi discepoli a vivere la vita come un andare verso l'incontro finale, quando «davanti a lui verranno radunati tutti i popoli», ed «egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra».

Ma l'olio? Cos'è questo olio in piccoli vasi che le vergini sagge portano con sé per rifornire le loro lampade, caso mai lo sposo tardasse ad arrivare, e che si rifiutano egoisticamente di spartire con le compagne che non hanno avuto l'accortezza di portarselo appresso? È il simbolo di una scelta di vita personale che non si può regalare a nessuno, perché non è una cosa che si può spartire, ma una scelta di chi la compie e perciò a nessun altro si può dare. Possiamo chiamarla fede? Certamente. Però la liturgia con la prima lettura ci suggerisce di identificarla con la sapienza, cioè con la capacità di vedere la vita nell'ottica della fede: dono di Dio da vivere e da riconsegnare a lui con tutte le potenzialità di bene che essa poteva esprimere.

In parole semplici: l'olio che non dobbiamo mai dimenticare e che nessuno ci può dare, è concepire, accogliere e vivere la vita come un continuo andare verso l'incontro con il Signore che «siederà sul trono della sua gloria» per decidere chi fare entrare nel suo regno.

Non è facile portare con sé quest'olio. Non è facile, ancora prima, vivere con la lampada accesa, mettendo in pratica la preghiera del salmista: «O Dio, tu sei il mio Dio, dall'aurora io ti cerco, ha sete di te l'anima mia, desidera te la mia carne in terra arida, assetata, senz'acqua». Non è facile accettare la vita come un andare incontro sereno al Signore come a uno sposo, e vivere di conseguenza. Ci viene meglio andare avanti come quelli «che non hanno speranza». Ecco allora che la nostra preghiera costante e pressante deve essere la richiesta dell'olio della sapienza, affinché non ci manchi mai la luce per attendere lo sposo ed entrare con lui prima che la porta sia chiusa.


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