"E' risorto, non è qui". E' l'annuncio della Pasqua che ogni anno si rinnova, e riempie di canti e di festa le nostre chiese, le nostre famiglie, ciascuno di noi, facendo risuonare di auguri le nostre case e le nostre vie. Tutto bello e consolante!
Cosa ci può essere di più bello e consolante di un sepolcro che invece della corruzione produce una vita nuova che è per sempre? Godiamoci perciò questa gioia che ha fatto rotolare via la pietra, benché fosse molto grande, e cantiamo con le donne che corrono a portare la notizia: "Morte e Vita si sono affrontate in un prodigioso duello. Il Signore della vita era morto; ma ora, vivo, trionfa. Sì, ne siamo certi: Cristo è davvero risorto". Godiamoci questa gioia! Ne abbiamo bisogno, e ce n'è tanto bisogno, perché la gioia non basta mai, e non ce n'è mai quanta ne servirebbe.
Possiamo, però, davvero godercela e basta? E' una domanda dalla quale non dobbiamo e possiamo sfuggire. Purtroppo i nostri alleluia sono solenni, ma usciti fuori dalle nostre celebrazioni si spengono in fretta, perché fanno fatica a prendere fiato in quest'aria mefitica di corruzione, di malaffare, di violenza e di odio che ci arriva da tutti i settori della vita pubblica e privata. Possiamo davvero cantare la Pasqua senza preoccuparci che essa non si manifesti anche al di fuori delle liturgie e degli auguri?
Certo, sembra quasi di cattivo gusto rattristare con questi considerazioni la gioia della più grande festa cristiana e verrebbe da dire: "Lasciamo stare! Oggi godiamoci la festa. Alle cose tristi penseremo domani!". Come cristiani, però, non possiamo farlo, perché la gioia cristiana per essere autentica deve comprendere il venerdì della croce, come la spiga dal seme che marcisce nel terreno. Forse per ricordare questa verità, il canto liturgico alla vittima pasquale termina con l'invocazione: "Tu, Re vittorioso, abbi pietà di noi". Che non è un invito a batterci il petto, ma a riconoscere che dobbiamo metterci con più energia e decisione al suo fianco nel duello tra la vita e la morte che egli ha intrapreso.
Come rafforzare questo impegno ce lo ricorda san Paolo: "Fratelli, non sapete che un po' di lievito fa fermentare tutta la pasta? Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete àzzimi. Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con àzzimi di sincerità e di verità".
Ecco perché la nostra gioia per la Pasqua non può essere spensierata: ci siamo troppo dimenticati di essere lievito, finendo spesso per confonderci con la massa.
Meditiamo! E' possibile che dalla massa di tutti questi luoghi di vita dai quali ogni giorno emergono notizie di corruzioni e di malaffare – di morte quindi – non siano presenti cristiani capaci di mettere dentro un pizzico di lievito nuovo? E' possibile – suggerisce ancora san Paolo – che dovunque si briga e ci si da fare per cercare le cose della terra non ci sia un discepolo del Risorto che semini un po' di desiderio e di ricerca per le cose di lassù? Non dovrebbe essere possibile, eppure dobbiamo ammettere che è così. Godiamoci allora la gioia della Pasqua, ma perché la gioia sia piena e sia vera, non dimentichiamo le parole di Pietro: "Gesù di Nàzaret, Dio lo ha risuscitato al terzo giorno. E ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli è il giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio".
Non ci ha suggerito. Ci ha ordinato. E' una consegna che, se vogliamo vivere la gioia di Pasqua, non possiamo evadere.