L'intimità nella fede

V Domenica di Pasqua - Anno B

Trovare spazi per arrivare al tu per tu con il Signore.

«Rimanete in me e io in voi». Le parole di Gesù possono sembrare un normale invito alla amicizia e alla condivisione di sentimenti e di affetti. Non è così. Gesù non dice: “Rimanete con me, e io con voi”, ma: «Rimanete in me e io in voi». Come è possibile rimanere in una persona? Come si fa? Come può accadere? È Gesù stesso a rispondere con la sua similitudine: «Io sono la vite, voi i tralci». Non dice: “Io sono il fusto, voi i tralci”, ma «Io sono la vite», cioè tutta la pianta: fusto e tralci. Di conseguenza i suoi discepoli non sono una componente della vite, collegata ad essa, con una propria consistenza, ma inseriti in lui che è il tutto. Se i suoi discepoli non sono così, servono solo per fare fuoco. Con l’immagine della vite Gesù dichiara che la fede in lui non consiste nell’adesione intellettuale al suo messaggio, né nell’ammirazione anche profonda e sincera della sua testimonianza umana, ma nella identità di vita con lui. Coloro che si lasciano innestare in lui con il Battesimo vivono della stessa linfa, come i tralci con la vite.

Senza di lui, nulla

«Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla». Soltanto accogliendo le parole di Gesù come un invito a vivere in lui e a farlo vivere in noi, è possibile capire e accettare questa sua affermazione, che altrimenti sembrerebbe presuntuosa e minacciosa. “Senza di lui, nulla! Proprio nulla? Come può dirlo quando proprio quelli che fanno a meno di lui sono sempre avanti, hanno successo, fanno carriera, arricchiscono, comandano, sono incensanti e osannati?”.
Attenti! Gesù non si propone come garanzia di “molto frutto” a chi cerca progetti e traguardi umani, ma a coloro che vogliono essere suoi discepoli, per i quali, senza vivere in lui e senza farlo vivere in loro, tutto il resto: preghiere, riti, celebrazioni, volontariato… non porterebbe a niente.
Per capire cosa si intende per identità di vita ci vengono in aiuto gli uomini e le donne che si sono identificati in lui, potendo dire come san Paolo: «Non vivo più io, ma Cristo vive in me». Pensiamo a Francesco d’Assisi, a Caterina da Siena, a Teresa d’Avila, a padre Pio, a Maria Faustina Kowalska, a Carlo Acutis… A noi che pochi minuti di preghiera sembrano un’infinità, questi esempi sembrano irraggiungibili e al di fuori della nostra portata. Però, possono stimolare noi nanerottoli a ricavare nelle nostre giornate momenti, anche brevissimi, di contemplazione, cioè a stare con il Signore in silenzio, raccontandogli la nostra vita, chiedendo, domandando, protestando, lodando, e lasciando che risponda quando vorrà e come vorrà.

Queste soste saranno benefiche non solo per lo spirito, ma anche per il corpo, perché siamo un tutt’uno. Vivere di corsa con gli occhi sull’orologio e con il cellulare all’orecchio sta facendo crescere il bisogno di recuperare quiete e silenzio, ricorrendo a tecniche orientali, a soluzioni classiche: monasteri ed eremi, oppure a recenti trovate geniali come l’alberoterapia, che consiste nell’abbracciare gli alberi per riceverne cariche di energie fisiche e spirituali. Chi non può o non vuole ricorrere a yoga, a conventi e ad alberi, ha a disposizione il consiglio di Gesù: «Quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà». La “propria camera” è dovunque decidiamo di “chiudere la porta”, anche il giardino, o l’ufficio, o una chiesa…

Tralci veri nella vite vera

«Senza di me non potete far nulla», dice Gesù. Per non girare a vuoto e per portare “molto frutto” e per diventare suoi discepoli, la nostra fede deve diventare il più possibile intima in modo che l’agricoltore, il Padre, non ci tagli per fare fuoco, ma ci poti per portare più frutti. È facile recitare preghiere imparate a memoria da bambini, non è difficile nemmeno compiere qualche gesto di carità, è molto difficile arrivare a un tu per tu con Gesù. I “giganti” sopra citati ci hanno messo anni o l’intera vita per raggiungere il traguardo. È un cammino lungo e faticoso, ma fruttuoso. Esso comprende stanchezze, ritorni indietro, deviazioni, cadute. Non dobbiamo averne paura, lasciarcene preoccupare, scoraggiare, sfiduciare. Per questi momenti l’evangelista Giovanni assicura: «Qualunque cosa esso [il cuore] ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa». È uno dei messaggi più consolanti e incoraggianti che la parola di Dio poteva rivolgerci. Con questa garanzia niente può farci cadere nel nulla.


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