Mio Signore e mio Dio!

II Domenica di Pasqua o della Divina Misericordia - Anno B - 2018

La Chiesa descritta dagli Atti degli Apostoli affascina. Ma se non la si può copiare la si può, però, far rivivere con una fede che trasformi la vita in profonda conoscenza e amicizia con Gesù.

La domenica dell'ottava di Pasqua è ricchissima di stimoli per la riflessione. La prima lettura ci ripropone una comunità cristiana con "un cuore solo e un'anima sola", immagine di vita fraterna che ha affascinato i cristiani di tutti i tempi e nella quale tutti, anche oggi, vorremmo rispecchiarci e vivere. La seconda, con una sintesi efficacissima, ci ricorda di non dimenticare che l'amore di Dio consiste nell'osservare i suoi comandamenti, non nelle chiacchiere e nei sospiri. Il vangelo ci cattura con l'apostolo Tommaso. Il suo: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo» è spesso il nostro. Perciò ci dà coraggio: se chi è vissuto con Gesù ha sentito la necessità di toccare e vedere per credere, non dobbiamo avere paure dei nostri dubbi e incertezze. Anche il salmo è stimolante: se la "pietra scartata" dagli uomini è stata fatta diventare dal Signore "pietra d'angolo", non dobbiamo lasciarci condizionare dal sentirci "scartati" dalla mentalità dominante, perché realmente vincenti sono solo i progetti del Signore e chi li sostiene.

Tutti questi motivi di riflessione e stimoli alla conversione possono essere riassunti in un brevissimo aggettivo possessivo: "mio", che generalmente desta sospetti quando si parla di fede, perché fa presto a prendere il posto di Dio.

"Mio Signore e mio Dio!", esclama Tommaso davanti a Gesù, che, per la sua misericordia, pur con un bonario rimprovero, è tornato per confermarlo nella fede. Attenti bene! L'apostolo non dice: "Signore e Dio", ma "mio Signore e mio Dio!". Non è un particolare da poco. "Gesù, Signore e Dio" è una nozione, come: "Ronaldo un calciatore", o: "Nibali un ciclista", che può arricchire le conoscenze senza interessare la vita. Può essere anche considerata una dichiarazione di fede in Dio, ma generica e superficiale, più o meno come quella che risuona sulla bocca anche di tanti cristiani praticanti: "Qualcuno ci deve essere". Nell'un caso e nell'altro è un atto di fede che non impegna la vita, tant'è vero che, come dice san Giacomo, può essere fatto anche dai diavoli: "Tu credi che c'è un Dio solo? Fai bene; anche i demòni lo credono e tremano" (Gc 2,19). Invece il "mio Signore e mio Dio!" di Tommaso non è una nozione o una generica professione di fede, ma la confessione di una relazione personale che dal dubbio diventa promessa di amicizia e fedeltà. Gesù, offrendogli ciò che lui aveva chiesto, lo conquista, anche senza il bisogno di affondare il dito nel costato aperto - come descrivono i pittori, ma non l'evangelista - e da quel momento Gesù diventa il "suo Signore e suo Dio".

Allora Tommaso, fratello nostro nel dubbio, lo diventi anche nella fede profonda. Domandiamoci: per noi c'è un Signore e un Dio presente nelle nostre idee, oppure c'è un "mio Signore e mio Dio!" operante nella nostra vita? La risposta è fondamentale. Nel corso dei secoli, sono stati numerosi i tentativi di creare comunità cristiane come quella degli Atti: "un cuore solo e un'anima sola", dove" nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune", e "nessuno tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno". Tutti i tentativi si sono spenti velocemente, quando non sono scaduti in sette o in esperienze negative, perché ridare alla Chiesa in generale, e alle comunità cristiane in particolare, la forza e la bellezza della comunità degli Atti degli Apostoli è possibile soltanto con credenti ricchi di fede da "mio Signore e mio Dio!", non copiando la storia.

Soltanto con questa fede l'amore di Dio smette di essere una pratica fredda e stanca dei comandamenti e diventa osservanza libera e gioiosa. E soltanto questa fede fa entrare tra i "beati" che, pur non avendo visto fisicamente Gesù, credono in lui, e impegnano la vita a dare "con grande forza la testimonianza della sua risurrezione".


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