Nell’amore del pastore con l’amore del pastore

IV Domenica di Pasqua - Anno B – 2015

Oggi, quando per la maggioranza assoluta della gente il pastore è il ricordo di una civiltà passata, o una figura letteraria, carica di nostalgica per l'aria pulita, l'acqua limpida e la serenità della campagna, il Buon Pastore rimanda inevitabilmente a quello con la pecorella sulle spalle della parabola di Luca.

Un'immagine talmente affascinante e commovente – non per nulla è stato la prima rappresentazione di Gesù – che stimola più i sentimenti che la riflessione. Il Buon Pastore che ci parla nel brano dell'evangelista Giovanni ci porta con i piedi per terra. Nelle sue parole c'è la consapevolezza di un mestiere duro e faticoso, perché le pecore vanno scioccamente dietro a quelle che stanno davanti, anche se prendono strade sbagliate, e non sono in grado di difendersi dai lupi. Proclamandosi "buon pastore", Gesù afferma di svolgere il suo difficile lavoro con amore (conosce le sue pecore una per una) e con estrema dedizione (è pronto a dare la vita per esse). Niente sentimentalismi, quindi, ma riflessione e conseguente impegno.

Quale riflessione e quale impegno?
Condizionati dal fatto che, come ormai è tradizione, questa domenica è la Giornata Mondiale di Preghiera per le vocazioni sacerdotali e religiose, è facile ridurre tutto a proclamare l'importanza del sacerdozio e a pregare affinché le vocazioni sacerdotali e religiose siano tante e sante come il Buon Pastore. Non basta. E' necessario meditare sul nostro rapporto con il Buon Pastore, per verificare se siamo (tutti, compresi il papa, i vescovi, i sacerdoti e i religiosi) sue pecore. Perché il Buon Pastore ci conosce, ma per una comunione con lui, talmente profonda da potersi paragonare a quella che ha con il Padre, è necessario che anche noi lo conosciamo.

"Conosciamo"... Il senso biblico ci ricorda che non basta sapere chi è il Buon Pastore, perché bisogna avere una profonda intimità con lui: quella del battesimo, nel quale, in lui siamo diventati sacerdoti, re (pastori), e profeti, assumendoci l'impegno di seguirlo, disposti a vivere come lui è vissuto.

Papa Francesco, nel messaggio per la Giornata Mondiale di Preghiera, ha definito la vocazione un "esodo da sé verso Dio e i poveri", cioè un rendersi disponibili a dare la vita per gli altri, non riferendosi alla vocazione sacerdotale e religiosa, ma alla vita cristiana come vocazione. Cerchiamo, perciò, di superare una concezione semplicistica e ingenua, ma dura a morire, secondo la quale il papa, i vescovi, i preti, i religiosi sono pastori come Gesù, e i "cristiani laici" sono le pecore delle quali si prendono cura.

Ogni cristiano, se vuole essere discepolo del buon pastore, deve essere Buon Pastore come lui. Chi vuole seguirlo, qualunque sia il suo ruolo nella Chiesa, deve vivere da Buon Pastore. Chi è sposato deve esserlo da buon pastore. Chi è genitore deve esserlo da buon pastore, così come chi è figlio. Chi è single deve esserlo da buon pastore. Chi è prete, frate, monaca deve esserlo da buon pastore. Non si diventa "pastori buoni" con l'ordinazione sacerdotale, con la professione religiosa e nemmeno con la consacrazione episcopale, ma "dando la vita per le pecore.

Pregare per le vocazioni sacerdotali e religiose è necessario, lo ha chiesto Gesù: "La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!" (Lc 10,2). Però Gesù non invitava a chiedere più sacerdoti e religiosi, ma più uomini e donne disposti a uscire da sé per mettersi a servizio della messe. Con ruoli diversi, ma con la stessa cura e dedizione.


Condividi

nell-amore-del-pastore-con-l-amore-del-pastore.html

Articoli correlati

Newsletter

Iscriviti alla newsletter per essere sempre aggiornato su iniziative e novità editoriali
Figlie di San Paolo © 2024 All Rights Reserved.
Powered by NOVA OPERA