Nella tenda in cerca di casa

X Domenica del Tempo Ordinario - Anno B - 2018

"La nostra vita è una tenda", dice san Paolo. È provvisoria. Viviamola come tale, senza scambiarla per stabile e definitiva, in modo da investire per una vera abitazione futura che nessuno e niente ci toglierà.

Terminato il tempo liturgico di Pasqua, con il prolungamento della SS. Trinità e del Corpus Domini, questa decima domenica del tempo liturgico "ordinario" ci riporta nella ordinarietà dei rapporti tra fede e quotidiano. Lo fa con tre brani della Parola molti ricchi di stimoli. Noi proviamo una sintesi con san Paolo che descrive la nostra vita con un'immagine estremamente significativa e simbolica: la tenda. Dice l'apostolo: "quando sarà distrutta la nostra dimora terrena, che è come una tenda, riceveremo da Dio un'abitazione, una dimora non costruita da mani d'uomo, eterna, nei cieli". Anche chi non ha avuto esperienza diretta non trova difficoltà a immaginare come sia la vita in una tenda: puoi avere a disposizione soltanto ciò che è essenziale e indispensabile e, anche quel "poco", è sempre a rischio che una tempesta improvvisa e imprevista di vento o di pioggia possa farlo volare via.

In effetti la nostra vita è così. Non possiamo negarlo, perché lo sperimentiamo ogni giorno, e la realtà ce lo dimostra continuamente e duramente. Possiamo cercare di non pensarci, ma prima o poi siamo costretti a tornare con i piedi per terra. Possiamo anche illuderci che non sia così, cercando di vincere la provvisorietà e l'incertezza della "tenda" con l'ammucchiamento delle cose e l'attaccamento alle stesse. Ma più la riempiamo di cose, più cerchiamo di rafforzare i paletti, più cresce l'ansia che arrivi la tempesta imprevista a portarsi via tutto. Perché niente può cambiare la nostra esistenza terrena: non è per sempre, è una tenda. Questa condizione può portare o all'angoscia, o al non senso, o all'attesa fiduciosa e operosa della dimora, eterna, nei cieli.

San Paolo ci esorta a camminare verso la dimora eterna. Noi umilmente accettiamo il suo invito, consapevoli delle difficoltà che questa scelta comporta, perché la tentazione del "mangiamo e beviamo, perché domani moriremo", cioè di accontentarci della tenda senza aspettarci altro è forte e continua, come sapeva anche san Paolo (1 Cor 15,32). Per vincere questa tentazione, l'apostolo ci esorta a esercitare gli occhi, a non accontentarsi di posare "lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne", nella convinzione che "il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria".

Cosa può aiutarci a vedere le cose che non si vedono, e a vivere con coraggio e serenità le sofferenze presenti, nella convinzione che sono un investimento sicuro per una gloria futura, smisurata ed eterna? Cosa può aiutarci ad accettare di vivere nella tenda, aspettando la casa?
La parola di Dio che questa domenica proclama dà due indicazioni.

La prima. Non dimenticare mai che l'albero del bene e del male non è il racconto di cose accadute nella notte dei tempi con Adamo ed Eva, ma è sempre verde e rigoglioso dentro la nostra tenda, per incantare i nostri occhi con le cose visibili, mostrandoci in modo seducente che il loro frutto è "buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza" (Gen 3,6). Fissare lo sguardo sulle cose invisibili significa impegnarsi a discernere al di sotto di quello che appare, che fanno tutti, che va di moda, qual è la volontà di Dio per essere fratelli, sorelle e madre di Gesù con il coraggio di andare controcorrente, anche se si venisse considerati "fuori di sé", come è accaduto a lui.

La seconda. Per non lasciarci "saccheggiare la casa", cioè per non compromettere il nostro cammino verso la dimora eterna nei cieli, abbiamo bisogno che la nostra "tenda", la nostra casa provvisoria, sia difesa da un uomo forte che nessuno, nemmeno Satana, riesca a legare.

Quest'uomo forte ce lo abbiamo. È Gesù.


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