Non sono cattivi i soldi ma l’uso che se ne fa.
L’autore del Qoelet, il libro biblico che in questa domenica dà il via alla nostra riflessione, afferma: «Non c'è niente di nuovo sotto il sole» (Qo 1,9). È difficile non dargli ragione. Anche al tempo di Gesù, per non partire da Caino e Abele, tra fratelli le cose non sono mai tranquille se ci si mettono in mezzo i soldi. Uno di questi litiganti cerca un alleato in Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Gesù si rifiuta in modo deciso. Il motivo della lite, come si evince dalle conclusioni che Gesù ne ricava, «fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede», doveva essere la ricerca di una soluzione vantaggiosa per sé, motivata da un eccessivo attaccamento al denaro, perciò il contenzioso doveva essere risolto tra loro. L’episodio dà a Gesù l’occasione di approfondire l’argomento con una parabola brevissima ma molto efficace, quella del “ricco stolto”, dalla quale non sempre sono state tratte conclusioni calibrate sul rapporto tra messaggio evangelico e ricchezza.
C’è un’affermazione che sembra risalire a un padre della chiesa, forse san Basilio Magno (330-370) che recita: «I soldi sono lo sterco del diavolo». Non sembra che Gesù la pensasse così. Ascoltiamolo: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante». Il protagonista della parabola è già ricco, quindi ha tutto ciò che gli serve per vivere decorosamente. Finché è semplicemente ricco, non è stolto. Lo diventa quando, di fronte al raccolto abbondante che viene ad aggiungersi ai beni che possiede, pensa che ormai la sua vita sia a posto, con l’unica preoccupazione di costruire magazzini più grandi per potere dire: «Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e divèrtiti!». È difficile che il pensiero non corra ai supermiliardari dei nostri tempi che fanno a gara per diventare il più ricco del mondo in modo da poter fare qualsiasi cosa, magari comprare un’intera isola, affittare Venezia per fare il matrimonio, collezionare Ferrari. Cattivi i soldi? No. La magagna comincia quando la ricchezza non è più un mezzo per vivere decorosamente e onestamente, ma lo strumento per arrivare all’illusoria sicurezza di stare in una botte di ferro, perché tutto avanza nei magazzini tanto da doverne costruire di nuovi, dimenticando che, se la vita non è vissuta come dono ricevuto e condiviso, è inutile, e Dio se la riprende: «Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?».
I cattivi non sono i soldi ma noi quando la ricchezza - non soltanto il denaro ma tutto ciò che Dio ci ha donato: la salute, le capacità, il tempo… - diventa padrona, bramosia sfrenata (cupidigia), “idolatria”, come ammonisce Paolo. Diventare servi di ciò che Dio ci dona per servircene, svuota le cose della loro profonda verità e le rende vuote: “vane”, come afferma il Qoèlet: «vanità delle vanità: tutto è vanità». Gesù con la sua parabola chiarisce questa affermazione e ne approfondisce il senso: tutto è vanità perché tutto passa, tutto è transitorio, tutto è come la nebbia che la mattina ricopre la vallata, e che pian piano si dilegua. Scambiare la nebbia per la realtà che essa nasconde rende stolti, perché fa illudere che le cose che si dileguano possano dare la consistenza che esse stesse non hanno. I soldi perciò non sono lo sterco del diavolo ma uno strumento per una vita decorosa, sobria e generosa. Affermare il contrario porterà a sensi di colpa, perché comunque servono; e anche a fingere di apparire poveri senza esserlo. Usare con saggezza i beni della terra, senza dimenticare che essi sono dono di Dio, fa arricchire davanti a Dio, ciò che Gesù consiglia.
Illuminante è la testimonianza di Gesù che ha accettato l’ospitalità degli amici, gli inviti a pranzo, l’assistenza economica di donne facoltose, gesti di omaggio costosi come quello di «trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso» in casa di Maria di Betania… senza però, mai dimenticare che «non di solo pane vivrà l’uomo» (Lc 4,4) e non avendo per se stesso nemmeno «dove posare il capo» (Mt 8, 20).
La conclusione della parabola è severa: chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio è come lo stolto della parabola, anche se non affida la vita ai miliardi, ma a pochi spiccioli.