Non siamo profughi e fuggitivi

II Domenica di Quaresima - Anno C - 2022

La fede in Gesù non è emigrare verso un’altra vita, ma rendere “altra” questa.

«Fratelli, la nostra cittadinanza è nei cieli», annuncia San Paolo con una frase così efficace da essere diventata una delle citazioni più conosciute e commentate dell’apostolo. Ascoltata in questi giorni con gli occhi pieni di profughi e di fuggitivi dal Sud e dall’Est del mondo, verrebbe spontaneo utilizzarla come stimolo a riflettere sulla vita che emigra verso “la cittadinanza dei cieli”, traguardo e rifugio del breve e faticoso passaggio terreno. Sarebbe, però, fuorviante, perché “la cittadinanza che è nei cieli” non la si raggiunge, lasciando questa terrena, presentandosi nei Cieli con un green pass, realizzato con il vaccino di preghiere e opere buone, ma vivendo questa con un lavoro quotidiano dentro di noi e nella realtà che ci circonda. Se proprio vogliamo ricorrere a una similitudine con ciò che accade oggi, si potrebbe dire che la si ottiene, imparando la lingua e accettando la storia, i valori e le convinzioni del paese che ospita.

La lingua e i valori dei Cieli

Quali sono la lingua, i valori e le convinzioni “dei Cieli” da apprendere e praticare per ottenerne la cittadinanza, lo indica ancora San Paolo: rifiutare il ventre come proprio dio; non vivere, pensando soltanto alle cose della terra, ma aspettare «come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso». Con altre parole, la “cittadinanza nei cieli” non la si acquista con pratiche burocratiche, ma con la fede nel Signore risorto, parlando la sua lingua e praticando i suoi valori: gratuità, generosità, giustizia, pace, verità

Per una vita che sa di cielo

Con un linguaggio un po’ poetico - tanto per attutire la durezza dell’impegno - si può dire che la cittadinanza nei cieli la si costruisce con una vita terrena che sa di cielo, cioè di gratuità, generosità, giustizia, pace, verità… Sarebbe bellissimo. Purtroppo, però, mentre “il dio ventre” (l’istinto e la spinta verso tutto ciò che rifiuta o ignora la dimensione spirituale) ci viene facile, la “cittadinanza che è nei cieli”, oltre a essere difficile, lascia sempre il sottile dubbio che esista davvero. Ci vorrebbero delle prove.
Invece la parola di Dio ci propone Abramo, che di notte, nella sua tenda, pensa alla promessa di Dio che non si realizza. “Avrai un figlio”, gli era stato detto. Invece ancora promesse: “Non temere, Abramo… la tua ricompensa sarà molto grande”. E al suo accorato: «Signore Dio, cosa mi darai? Io me ne vado senza figli e il mio erede sarà un mio domestico, uno straniero», gli viene risposto con una sfida: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle». Nessuna prova. L’unica possibilità è credere e fidarsi. Abramo crede e si fida.
La parola di Dio ci propone poi i discepoli. Gesù sta rivelando che dovrà soffrire molto, essere rifiutato, venire ucciso per «risorgere il terzo giorno», e che essi dovranno affrontare lo stesso percorso, ma essi non capiscono e non vogliono capire, infatti non chiedono spiegazioni, preferiscono parlare di chi tra loro sia il più importante. L’unica prova è uno spiraglio fulminante di “cittadinanza nei cieli”, che a essi sembra un abbaglio, tanto che non ne parlano con i loro amici, con i quali preferiscono tornare a discutere di carriera. Quando poi saranno chiamati a decidere lo faranno per fede. Come Abramo.

Non siamo profughi e fuggitivi ma costruttori

Non siamo né profughi, né fuggitivi alla ricerca di un’altra cittadinanza, di un’altra patria. Siamo qui a costruircela giorno per giorno, aspettando il Signore Gesù Cristo, non a braccia conserte, ma imparando la sua lingua e praticando i suoi valori. Senza prove. Soltanto per fede. Tutt’al più possiamo lasciarci incoraggiare da esempi e testimonianze. San Paolo poteva proporre se stesso: «Fratelli, fatevi insieme miei imitatori e guardate quelli che si comportano secondo l’esempio che avete in noi». Noi dobbiamo saperli cogliere questi esempi, magari in coloro che generosamente e gratuitamente sono sulle frontiere per accogliere profughi e fuggitivi, donando così un po’ di sapore di cielo a una realtà dura, costruendosi così “la cittadinanza che è nei cieli”.


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