Occhio a chi sta davanti alla nostra porta!

XXVI domenica del Tempo Ordinario - Anno C - 2022

La vita è la ricchezza che tutti abbiamo tra le mani e che possiamo condividere.

La seconda lettura della domenica di oggi inizia con San Paolo che scrive al suo discepolo Timoteo: «Tu, uomo di Dio, evita queste cose; tendi invece alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato». Quali sono queste “cose” da evitare? Per saperlo, dobbiamo leggere le parole precedenti del testo che, stranamente, non sono state inserite. Eccole: «Non abbiamo portato nulla nel mondo e nulla possiamo portare via. Quando dunque abbiamo di che mangiare e di che coprirci, accontentiamoci. Quelli invece che vogliono arricchirsi, cadono nella tentazione, nell'inganno di molti desideri insensati e dannosi, che fanno affogare gli uomini nella rovina e nella perdizione. L'avidità del denaro infatti è la radice di tutti i mali; presi da questo desiderio, alcuni hanno deviato dalla fede e si sono procurati molti tormenti». Quindi, le cose da evitare sono l’avidità del denaro, quella che Gesù chiama “cupidigia” (Lc 12,15). Che essa sia la “radice di tutti i mali” viene dimostrato con la parabola del ricco “spensierato” e del povero Lazzaro, un racconto in due atti con situazioni capovolte. Nela prima il ricco gode tra «vestiti di porpora e di lino finissimo, e lauti banchetti», mente Lazzaro sta fuori della sua porta affamato e coperto di piaghe; nella seconda il povero è felice accanto ad Abramo, invece il ricco è tra le fiamme con sofferenze terribili.

Ben gli sta, ma troppo tardi!

Alla conclusione della parabola viene spontaneo un sonoro: “Gli sta bene! Come si fa a essere così insensibili. Non è possibile!”. Non è possibile? Le vicende che la cronaca ci presenta dicono che non solo è possibile ma capita tutti i giorni nelle forme più disparate e tragiche, come quella della madre di Hudaifa, che ha seppellito il figlioletto in mare durante la traversata in barcone, dopo averlo lavato, profumato, rivestito dei vestiti puliti, che gli avrebbe voluto mettere una volta arrivati sull’altra sponda del Mediterraneo… Di fronte a queste situazioni si fa strada un’altra reazione: “Bene le fiamme dell’inferno, ma troppo tardi. Dio dovrebbe punire subito, adesso, coloro che passano la vita a scialacquare ricchezza e a divertirsi. Anche perché dopo… Dopo sarà vero che ci aspettano il conforto di Abramo o i tormenti della terribile fiamma? Nessuno è mai tornato dall’aldilà. Se il Signore mandasse qualcuno…”. Non verrà nessuno, e il grande problema della punizione dei malvagi e del premio dei buoni continuerà a inquietare come ha sempre fatto. Per fortuna ci si può consolare, come sempre, decidendo che la questione non ci riguarda: “Figurati se vestiamo di porpora e bisso e banchettiamo tutti i giorni. Se la vedranno quelli che vivono così”. Invece ci riguarda eccome.

L’indifferenza ha molte variazioni

Il ricco della parabola non è condannato perché è ricco, perché veste alla moda e banchetta lautamente, “canterellando al suono dell’arpa”, ma perché non si è mai accorto di Lazzaro fuori della sua porta, e qualora se ne fosse accorto non si è interessato. La sua colpa non è stata la ricchezza che possedeva – non si accenna nemmeno che l’abbia accumulata in maniera disonesta – ma aver lasciato che essa lo rendesse indifferente, imprigionandolo nel proprio io. Questa colpa è alla portata di tutti, anche degli squattrinati che non hanno niente, perché una ricchezza ce l’abbiamo tutti: la vita con le sue gioie, le sue pene, le sue energie, le sue debolezze. Non condividerla, comunque essa sia, significa lasciare “Lazzaro” davanti alla porta, e prepararsi ai “terribili tormenti della fiamma”.
Ma, in concreto, cosa significa questo per la vita di ogni giorno? Paolo dice che questo vuol dire l’impegno di tendere alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Con questo esercizio quotidiano una briciola di pane per i “Lazzaro” che stanno alla nostra porta ci sarà sempre.

La buona battaglia

Chi ci assicura che vivere condividendo ci porterà a essere consolati accanto ad Abramo? Nessuno! Perché nessuno arriverà ad ammonirci. Anche per noi bastano «Mosè e Profeti», cioè fidarsi della Parola e accettare la buona battaglia della fede per cercare di raggiungere la vita eterna alla quale siamo stati chiamati. È bellissimo e incoraggiante considerare e vivere la fede come una battaglia per rifornire il mondo, per la nostra parte, piccola o grande che sia, di giustizia, pietà, fede, carità, pazienza, mitezza. Beni che rendono la vita “consolante” non solo dopo accanto ad Abramo”, ma anche qui e adesso.


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