Non solo a parole ma con attrazione e profumo.
I brani di Vangelo che la liturgia propone la domenica nella celebrazione eucaristica in genere sono immediatamente recepiti e commentati come esortazioni a crescere nella fede, nella speranza, nella carità. Qualche volta però succede che i riferimenti alla nostra vita non siano immediati e sembrino un rifornimento per la predica degli “specialisti”: Papa, vescovi, sacerdoti, religiosi. È il caso di questa domenica. Gesù dopo aver mandato in missione i Dodici a portare l’annuncio del Regno alle dodici tribù di Israele, designò altri settantadue (tante erano secondo gli ebrei le nazioni che non conoscevano il Dio di Abramo) e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi, con direttive che preoccupano per la durezza: «Vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali». Nonostante queste condizioni i settantadue «tornarono pieni di gioia».
Bella questa gioia per aver realizzato positivamente una missione così difficile. Però, come possiamo sentirci coinvolti? Noi più che i settantadue mandati a predicare siamo «le case e le città bisognose» di accogliere i missionari che vengono a spiegarci cosa significa che è vicino a noi il regno di Dio. Cos’altro possiamo fare se non pregare «il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!», cioè tanti sacerdoti e ferventi religiosi? Ed è quello che facciamo da sempre. Il resto non tocca a noi.
Non è così, anche se così siamo stati abituati a pensare e a fare. Questa situazione, che in qualche modo ha funzionato quando sembrava che tutti fossero bene o male “evangelizzati”; e quando c’era abbondanza di vocazioni sacerdotali e religiose, ha mostrato la sua inadeguatezza quando la società è cambiata e i predicatori si sono ritrovati a correre di qua e di là tra parrocchie vuote e soluzioni affrettate e inefficaci.
Oggi il Signore, con la voce della realtà, ci chiede di tornare a essere discepoli mandati ad annunciare il Vangelo. Questo significa che l’invito di Gesù: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!», ci impegna a pregare affinché siano tanti e sempre di più non soltanto i sacerdoti e i religiosi, ma tutti quelli che si rendono disponibili ad andare. A cominciare da noi.
Le «nazioni», le «case e le città» che non lo conoscono, o lo conoscono male, sono infinitamente più di settantadue, e non dobbiamo andare a cercarle chissà dove. Sono i familiari, i colleghi, gli amici che non possono essere raggiunti da Papa, vescovi, sacerdoti, religiosi. Da noi invece sì, creando spazi alla riproposta del messaggio di Gesù: l’uso saggio dei beni, la generosità, il perdono, l’interesse per tutti, la ricerca della pace e della giustizia, l’onestà, il rispetto per gli altri…
Di fronte alla necessità di essere annunciatori del Vangelo ci crea grosse difficoltà per lunghissima consuetudine storica e per la nostra personale esperienza fin da bambini, la predica che cade dall’alto, dal pulpito che il sacerdote rivolge ai fedeli incoraggiando, esortando, rimproverando, spiegando i testi sacri. Se rimaniamo prigionieri di questo “strumento di comunicazione” è comprensibile dichiararsi fuori. Mica puoi metterti a predicare “dal pulpito” in ufficio, in fabbrica, tra gli amici, ma neppure in famiglia; tanto meno vestire i panni del bigotto o del visionario che sa sempre quello che vuole Dio da te.
Benedetto XVI, poi con il rinforzo di papa Francesco, diceva che la fede si tramette “per attrazione”, cioè suscitando curiosità e desiderio negli altri attraverso la coerenza e l'amore vissuti. Sant’Ambrogio, secoli prima, parlava della fede come profumo: quando c’è lo si sente e non occorre salire sul pulpito e suonare la tromba. Sembra che in questi tempi così difficili che il mondo sta attraversando si stia tornando a comprendere che mettere da parte Gesù non porti a una qualità di vita esaltante, liberata da arcaici e bacchettoni tabù. È il momento propizio per andare a predicare che è vicino a noi il regno di Dio.