Osservare, accogliere, offrire

Arte floreale /8

La primavera è ormai iniziata da un po', meravigliosa stagione in cui la natura sembra risvegliarsi dal lungo riposo dei mesi invernali con nuova forza e meraviglia. Alcuni fiori e alberi l'annunciano e l'anticipano come il mandorlo, il bucaneve, il crocus, le violette, le mattiole e i tulipani, i giacinti, gli anemoni e i ranuncoli e poi, via via, il biancospino e i primi alberi da frutto.

L'occhio attento di chi ama guardare, anzi osservare, giorno dopo giorno, le siepi, il bosco, i prati, i giardini o anche il banco del fioraio, scopre meraviglie. Il verde tenero delle foglie e le loro forme riempiono il cuore di fiducia e di tenerezza come direbbe Giacomo Leopardi.

C'è un dono singolare per coloro che amano le feste liturgiche della Chiesa e i suoi spazi rituali, come le chiese o cappelle dove si raduna l'assemblea: è quello di imparare a osservare. Osservare il cielo, le piante, i fiori, l'acqua, la terra, le pietre... e così imparare in qualche modo che tutto è bello, ci stupisce perché manifesta la cura che Dio ha per le sue creature: tutto può aiutare e unirsi alla preghiera per celebrare Dio e la sua salvezza. La gloria di Dio, il suo esserci, risplende nella creazione, tutto parla della presenza del Verbo di Dio per il quale e per mezzo del quale tutto è stato fatto. Si tratta allora di apprendere un qualche cosa che quasi poi viene spontaneo: dopo aver osservato, ci si apre ad accogliere tutta questa bellezza, per poi in qualche modo offrirla restituendola a Colui che ce l'ha donata.

Tutto passa per l'occhio sensibile e attento, per un cuore grande che si meraviglia ed è grato. Tra tutto ciò che è così accolto, si sceglie qualche elemento, poche cose, con rispetto e misura, quasi chiedendo permesso, lasciando le piante, la siepe o il giardino più belli di prima, capaci di produrre ancora di più. Si prendono alcuni elementi vivi ma anche delle pietre o dei legni lavorati dal tempo, dalla pioggia e dal vento, per offrirli, quasi trasfigurandoli, inseriti nel «quadro liturgico» di una solennità, una festa, un incontro di preghiera, un'adorazione.

Una nobile e sobria bellezza

Tutti e tutte coloro che nelle nostre chiese parrocchiali, cappelle o santuari, compiono con generoso dispendio, intelligenza e serietà professionale, il servizio di comporre fiori, foglie o altro, sanno che fiorire uno spazio liturgico non è come decorare una sala per un concerto o per un buffet. Essi, innanzitutto si sono prima premurati di conoscere i riti della Chiesa: l'Eucaristia, gli altri sacramenti, le solennità e feste lungo l'anno, la Parola che viene proclamata e celebrata...

Pian piano imparano a non cedere alla tentazione di mettere troppi fiori nelle loro composizioni come pure di crearne tante: il più delle volte basta una sola composizione, nel posto giusto, per fiorire e trasfigurare uno spazio. Nella liturgia non si fa, per così dire, consumo di fiori. Succede forse in alcuni casi come per un matrimonio e a volte nei funerali... ma sono altri a farlo; normalmente per noi non è così. I fiori ci vogliono, la loro presenza e il loro linguaggio si uniscono al gesto, al canto, alla luce, al profumo, alla Parola e all'ascolto, a tutte le altre voci che in vario modo celebrano l'evento di salvezza che accade nei riti della fede.
Quello dei fiori è un servizio, sublime e discreto, elegante senza essere sontuoso; le composizioni non attirano l'attenzione su di sé ma esaltano il «Mistero celebrato» aiutando la partecipazione dei fedeli fino a condurli a fare un incontro unico e indimenticabile con Dio, proprio perché c'erano anche loro e in quel modo! Si tratta allora di apprendere un'arte e si cresce in ciò, perfezionando la manualità ma soprattutto coltivando una sintonia spirituale con la liturgia della Chiesa, accompagnando con umile carità, lungo l'Anno liturgico, i fratelli.
Giova molto osservare come compongono i fioristi e imparare tutti i loro segreti professionali, ma ricordiamo sempre che per noi non è semplicemente decorare.

paoline arte floreale osservare accogliere offrire cruciani pIl Giovedì santo e l'altare della reposizione

Nel linguaggio dei fedeli continua a essere chiamato «sepolcro» il luogo dove viene riposto e custodito il Pane eucaristico dopo la Messa «in Coena Domini».
Chiamare «sepolcro» il luogo dove è riposta l'Eucaristia il Giovedì santo sera non è corretto, è una dicitura nata nell'ambito di una pietà non legata alla verità della liturgia ma piuttosto alla devozione. Strana è la maniera in cui tale espressione è entrata nel linguaggio e nella memoria, basta conoscerne un poco le vicende storiche (cf. P. SORCI, Il sepolcro, origine del tema e significato della sua sopravvivenza, in «La Settimana santa: liturgia e pietà popolare», Edi Oftes, Palermo 1995, pp. 273-285).
La Lettera Circolare della Congregazione per il Culto divino sulla Preparazione e celebrazione delle feste pasquali del 1988, precisa che il Tabernacolo dove si custodisce il Sacramento «non deve avere la forma di sepolcro... infatti la cappella della reposizione viene allestita non per rappresentare la sepoltura del Signore, ma per custodire il Pane eucaristico per la Comunione che verrà distribuita il Venerdì della Passione del Signore» (cf. n. 47). Ma dove va a finire allora la bella devozione della «visita ai sepolcri» il Giovedì santo sera o il Venerdì santo mattina? Sembra che la pietà dei fedeli ne riporti grande danno... che dire?

Secondo un principio generale dettato dal Concilio Ecumenico Vaticano II al n. 13 della Costituzione sulla Liturgia della Chiesa, i pii esercizi sono grandemente raccomandati ma «bisogna che tali esercizi siano regolati tenendo conto dei tempi liturgici e in modo da armonizzarsi con la Liturgia; derivino in qualche modo da essa e a essa conducano il popolo,dal momento che la Liturgia è per natura sua di gran lunga superiore ai pii esercizi». Non si può dunque alimentare una pratica che non si adatta neppure nel «nome» alla verità della liturgia. Questo non impedisce di incoraggiare ed educare i fedeli a visitare le chiese, intrattenersi e adorare la Presenza eucaristica di Cristo Gesù morto e risorto, dinanzi agli «altari della reposizione» preparati con immensa cura e circondati di solennità, in questa sera in cui si celebra l'Amore supremo di Dio che dà la vita per noi e trova il modo di rimanerci accanto sino alla fine dei secoli.

Occorre ricordare che il segno eucaristico del Pane è «simbolo», cioè sacramento, Presenza vera del sacrificio della Croce, la cui comprensione è data a noi dalla Parola stessa del Signore; è Presenza del Corpo sacrificato, glorificato e risorto del Signore ed è anche sacramento-segno sacro-simbolo del sacrificio della Chiesa le cui membra si associano al sacrificio del Capo.
Potremmo dire che «visitare» i tabernacoli in questa sera, almeno sino alla mezzanotte, è piuttosto comprendere il Triduo santo del Signore, entrare nei sentimenti che furono in Cristo Gesù e lasciare che diventino i nostri per imparare a fare di noi quello che egli fece di sé. Questo disse quando comandò: «Fate questo in memoria di me» = fate anche voi, della vostra vita, quello che ho fatto io della mia.

Proprio la liturgia di questi tre giorni sacramentali, vissuti quasi fossero un giorno solo, ora per ora, dietro a Gesù, dà il vero senso della «visita» che andiamo facendo agli altari pieni di luce, di fiori, di silenzio e di amore rispettoso, nelle nostre chiese.
L'ornato dell'altare della reposizione non deve attirare l'attenzione più del tabernacolo che custodisce l'Eucaristia. Tutto dev'essere orientato alla Presenza, dono dell'immensa divina Carità di Dio per noi. Non occorre simbolizzare troppo: si rischia infatti di distrarre, basta la presenza discreta e accurata di fiori e di lampade; il profumo dell'incenso può aiutare la preghiera, con tempi di silenzio, di canto e di ascolto; si potrà rileggere il brano della lavanda dei piedi (Gv 13,1-15) o la preghiera sacerdotale di Gesù (Gv 17,1-26).

 

la vita in cristo e nella chiesa marzo 2018 pLa Vita in Cristo e nella Chiesa n. 3
marzo 2018

Il numero dedica ampio spazio alla Quaresima e in particolare al Triduo Pasquale. Continua lo «Speciale Sinodo 2018», Tra gli articoli segnaliamo il sussidio per l'adorazione eucaristica del giovedì santo e il profilo del Servo di Dio Carlo Acutis. Inoltre, poniamo all'attenzione l'inizio della nuova rubrica «Liturgia e catechesi» a cura di Valeria Trapani con l'attenzione alla partecipazione dei bambini alla liturgia.

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