Vivere da alberi bassi con la pazienza di Dio

XI Domenica del Tempo Ordinario - Anno B - 2015

"Io sono il Signore, che umilio l'albero alto e innalzo l'albero basso, faccio seccare l'albero verde e germogliare l'albero secco"; il regno di Dio "è come un granello di senape che è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell'orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra".

E' la diversità tra il pensare e l'agire di Dio e il nostro, un messaggio che la liturgia ripropone continuamente durante l'anno liturgico con brani e personaggi diversi (efficacissimo quello di san Pietro con la citazione del salmo 90: "Davanti al Signore un solo giorno è come mille anni e mille anni come un solo giorno" , 2Pt 3,8), ma tutti convergenti verso l'unico significato. Il motivo di questa insistenza sta nel fatto che la fede consiste per l'appunto nell' accettare questa diversità di vedute e di operazione tra noi e Dio, decidendo di "camminare nella fede e non nella visione", oppure nel rifiutarla e "camminare nella visione e non nella fede".

Questa è la fede, e in questo sta la difficoltà nel praticarla, anche se non sempre ne siamo consapevoli, perché concretamente ciò che ci pesa è rispettare precetti e riti. Questi, in realtà, sono i ruscelli delle nostre difficoltà, ma la sorgente è conformarsi al modo di pensare e di agire di Dio, che contrasta con la nostra realtà, dove sono gli alberi alti a svettare, a emergere, a comandare, a essere onorati e premiati. "Nella visione" (cioè in quello che vediamo con i nostri occhi di carne) è così: l'albero alto comanda e quello basso obbedisce; l'albero basso lavora e quello alto si prende il merito, l'albero alto è osannato, quello basso è dimenticato. E' stato sempre così, e oggi, nella cultura dell'immagine e del look, lo è più che mai. La tivù lo racconta, lo conferma, lo incoraggia a getto continuo.

Per riuscire a vivere da "albero basso" e da "granello di senape" nella convinzione che la parola di Dio è vera nonostante ciò che vediamo, è necessario compiere un'ulteriore scelta: accettare i tempi di Dio, per il quale "un solo giorno è come mille anni e mille anni come un solo giorno". Questo sfasamento di tempistica per noi è difficilissimo, perché il tempo non ci basta mai, e allora dobbiamo correre, andare di fretta e mettere fretta, affannarci e affannare. Invece Dio è paziente. Gesù ce lo rivela con la sua piccola, straordinaria parabola: "Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga". L'esatto contrario di ciò che facciamo noi!

A questo punto diamo spazio a una domanda che cova dentro: "Ma camminare nella fede non è un tormento, uno strazio, uno stress? Dove sarebbe il cento volte tanto, già ora, in questo tempo (Mt 19,29) promesso da Gesù?".

Non dobbiamo avere paura della domanda, perché la fede per essere autentica deve portare con sé la consapevolezza di avere trovato un tesoro, non di avere perso il portafoglio. La risposta c'è. Infatti, quale medicina migliore per le nostre ansie, le nostre angosce, le nostre delusioni, le nostre paure dell'affidarsi a Dio, vincendo la smania del successo, dei primi posti, dell'arrivismo, del carrierismo, dalla paura del male e del futuro incerto, sicuri che, sotto le apparenze e con i suoi tempi, Dio sta umiliando l'albero alto e innalzando quello basso, e che il suo regno sta germogliando nel terreno della storia con la forza misteriosa del granello di senape?

Sarà così? Noi vorremmo avere le prove e poi fidarci. La fede invece è fidarsi, sicuri che le prove verranno.


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