Pensati da Dio benevoli, misericordiosi, giusti

IV domenica del Tempo Ordinario - Anno C - 2022

Anche noi siamo chiamati a realizzare il pensiero di Dio su di noi.

«Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato», afferma Gesù nella sinagoga di Nazaret davanti ai compaesani con gli occhi fissi su di lui. Delusi da morire! Invece di una prova strabiliante per dimostrare che è tutto vero quello che si racconta di lui, la presunzione di essere il destinatario di una antichissima profezia… Invece di fare onore al suo paese, questo falegname esaltato incoraggia la diceria secondo la quale da Nazaret non può venire niente di buono (Cfr. Gv 1, 46). Si alzano, lo cacciano fuori della città, lo conducono fin sul ciglio del monte per gettarlo giù. Ma «egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino», per continuare ad annunciare di essere stato da sempre nei pensieri di Dio, e che in lui lo siamo anche noi. Ciò significa che non siamo qui per caso, anche quando ci sentissimo piccoli e insignificanti, o addirittura falliti. Da sempre siamo un pensiero di Dio che sempre ci accompagna. È una verità talmente grande e misteriosa che la nostra piccolezza stenta a capire e ad accettare. Lo fu anche per Geremia che tentava di sottrarsi: «Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono giovane». Il Signore lo assicurò: «Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato». Dio assicura anche a noi, dal momento che ci invita a rivolgerci a lui così: «Io ti rendo grazie: hai fatto di me una meraviglia stupenda; meravigliose sono le tue opere, le riconosce pienamente l'anima mia. Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, ricamato nelle profondità della terra» (Salmo 139, 14,15). Può una “meraviglia stupenda” non essere un pensiero di Dio?

Come vivere da pensiero di Dio? San Paolo risponde: “Basta la carità”. Non siamo capaci di parlare tutte «le lingue degli uomini e degli angeli»? Fa niente. Purché abbiamo la carità. Non abbiamo «una fede da trasportare le montagne»? Fa niente. Purché abbiamo la carità. Non ce la sentiamo di «dare in cibo tutti i nostri beni»? Fa niente. Purché abbiamo la carità che è: magnanima, benevola; non invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. Questo perché «la carità non avrà mai fine». La fede e la speranza, infatti, finiranno quando vedremo Dio “faccia a faccia”. La carità no, perché saremo in Dio che è carità.

Ma cosa significa avere la carità? Quasi per riflesso condizionato viene da pensare ai volontari che danno sostegno ai poveri; che assistono i senza dimora; che fanno parte di organizzazioni caritative e assistenziali; e anche a noi che, tra una cosa e l’altra, qualche volta un po’ di carità la facciamo. Non è così. Non sarebbe così nemmeno se lasciassimo lavoro e famiglia per andare a vivere in un villaggio di diseredati o su una nave salva immigranti, perché ciò che viene chiesto non è “fare” la carità, ma “essere” carità. Questa virtù, infatti, come tutte le altre, non esiste finché non prende il cuore, le mani e i piedi di persone magnanime, benevole, non invidiose, umili, modeste, rispettose, altruiste, tranquille, misericordiose, giuste, vere, forti per contrastare la meschinità, la rissosità, l’invidia, il carrierismo, la presunzione, il tornaconto, la violenza, la durezza di cuore, la corruzione, la falsità. Avere la carità significa essere “persone carità” nelle quali siano presenti e operanti le caratteristiche indicate dall’apostolo. Tutte, senza che ne manchi nemmeno una. Infatti, non si è carità, se ci si vanta. Non si è carità, se si manca di rispetto. Non si è carità se non si è benevoli. Non si è carità se non si è giusti…

Avrà ragione l’apostolo? La realtà quotidiana dice di sì.
La nostra società è irosa, violenta, litigiosa, ingiusta… L’esperienza personale e la cronaca ce lo ricordano tutti i giorni. Eppure sono tantissimi i volontari, le organizzazioni caritative, le iniziative a favore dei bisognosi. Come mai? Se ci fosse più impegno a “essere carità” e meno ad appaltare la carità a volenterosi, la situazione di certo migliorerebbe. Ma perché essere carità dal momento che è così difficile e normalmente non porta stima e riconoscenza? Il motivo è uno soltanto: «la carità non avrà mai fine». Quando vedremo Dio faccia a faccia, leggeremo sul suo volto il pensiero d’amore che fin dal seno materno ci ha conosciuto, chiamato, accompagnato, e riportato a lui. Non c’è impegno che non valga la pena di mettere in campo per un traguardo così.


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