Prendiamo bene le misure

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario - Anno C - 2019

La consapevolezza della nostra provvisorietà è garanzia di una vita saggia.

Per gli ebrei, il Tempio non era come la nostra chiesa, cioè un luogo dove radunarsi per ascoltare la parola di Dio e per celebrare l'Eucaristia. L'edificio "chiesa" è importante sì, ma non per le mura, che possono essere artistiche, coperte di marmo, oppure semplicissime, bensì per ciò che avviene dentro. Per noi, il tendone dove i terremotati celebrano Messa, oppure un altare in mezzo a un prato in un camposcuola estivo, hanno lo stesso valore del duomo di Milano. Per gli ebrei no. Il Tempio era la casa di Dio e il sancta sanctorum la sua dimora. Perciò, che di esso, con «le sue belle pietre e i doni votivi», potesse non rimanere «pietra su pietra» era – come esclamiamo noi difronte a eventi catastrofici – una "cosa da fine del mondo". E infatti Gesù – o forse più probabilmente l'evangelista, con lo stile escatologico e apocalittico molto in voga in quel tempo – abbina la distruzione del Tempio alla fine del mondo.

Coloro che lo ascoltano, come avremmo fatto noi, gli chiedono subito informazioni sul "quando" e sui "segni" per accorgersene per tempo: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Gesù li delude, come delude noi. Non soltanto non li accontenta, ma li mette – e ci mette – in guardia contro coloro che affermano di saperlo: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: "Sono io", e: "Il tempo è vicino". Non andate dietro a loro!».
Che delusione! Gesù, però, non poteva che rispondere così, perché non stava facendo l'indovino, ma il Maestro: ribadiva – a chi lo stava ascoltando e a noi – che su questa terra tutto è provvisorio, perché questo mondo è provvisorio.

"Occorreva che lo dicesse Gesù che tutto è provvisorio? Non lo sappiamo benissimo da soli?". Lo sappiamo benissimo da soli, perché sperimentiamo giorno per giorno che tutto passa, si consuma e scompare, però spesso viviamo come se non lo sapessimo. Guardiamoci dentro e guardiamo attorno. Da dove nascono le guerre, le sopraffazioni, le violenze, la corruzione, gli arricchimenti assurdi e disonesti, le liti... se non dalla illusione di essere eterni? Persino certi eventi da fine del mondo, come gli allagamenti disastrosi di questi giorni, non potrebbero essere evitati o alleggeriti se si provvedesse agli interventi necessari, invece di deviare le risorse nelle tasche di chi si illude come il ricco stolto della parabola: «Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti»?

Noi, come gli interlocutori di Gesù vorremmo sapere il "quando", non per riuscire a evitarlo – magari si potesse! - ma per dare eventualmente una aggiustatina veloce, caso mai ci fosse qualcosa rimasto in sospeso da dover rimediare in fretta, perché tutto finisce, ma non finisce per tutti allo stesso modo. C'è un giudizio, come afferma con toni decisi il profeta Malachia: «Sta per venire il giorno rovente come un forno: tutti i superbi e tutti coloro che commettono ingiustizia saranno come paglia; quel giorno, venendo, li brucerà.... Per voi, che avete timore del mio nome, sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia».

Ma il "quando" non lo sappiamo e nessuno ce lo svelerà. È un inutile spreco di soldi, di tempo, di intelligenza andare per maghi e cartomanti, per indovini e oroscopisti: non conoscono il loro, figuriamoci quello nostro.
Cosa ci rimane da fare? Qual è l'unica decisione intelligente?
È prendere bene le misure, cioè pensare, fare, lavorare, cercare, sognare... vivere consapevoli che di tutto quello che abbiamo, facciamo, desideriamo «non rimarrà pietra su pietra». Nel frattempo, come esorta san Paolo, «guadagniamoci il pane» - inteso non come pagnotta, ma come vita buona, decorosa, costruttiva - «lavorando con tranquillità, senza agitazione, "con perseveranza", senza essere di peso ad alcuno, nell'attesa fiduciosa che sorga per noi con raggi benefici il sole di giustizia».


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