La parabola di Gesù è la proposta per un percorso di fede.
Conosciamo bene la parabola del seminatore, nonché la spiegazione che ne dà lo stesso Gesù, in modo sintetico ed efficace, con quattro immagini prese dall’esperienza di tutti, perciò di comprensione immediata ed efficaci per il messaggio: la strada, il terreno sassoso, le spine, il terreno buono. Dice Gesù: chi ascolta la parola del Regno e non la «comprende» (non soltanto non ne capisce il senso ma non la fa sua) è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la «comprende»; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno.
A questa spiegazione c’è poco da aggiungere. Le parole toglierebbero forza alle immagini. Quello che siamo chiamati a fare è rispondere alla provocazione che la parabola pone: chi siamo? Siamo strada, terreno sassoso, spine, terreno buono? Senza arrivare a questa risposta, siamo come quelli che «guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono».
Siamo strada, se ascoltiamo la parola del Regno (la “parola incarnata”: Gesù e il suo messaggio), senza comprenderla, cioè senza “includerla”, senza farla entrare nei nostri pensieri, parole, azioni. Rimanendo in superficie, la Parola è facilissima preda per gli “uccelli”: il tradizionalismo, il conformismo, la superficialità, il fanno tutti così, la vita di corsa senza farsi tante domande sul dove e perché si va.
Siamo terreno sassoso, se ascoltiamo con gioia la Parola, se ci piace, se la seguiamo, però, finché le sue richieste corrispondono ai nostri desideri e alle nostre attese, ma non quando la vita si mette di traverso e tutto va al contrario di come vorremmo. Allora, meglio le parole umane più concrete, più realistiche, più vincenti.
Siamo rovi, se proviamo a «comprendere» la Parola, includendola nella nostra vita, ma senza la volontà e il coraggio di fidarci del tutto, bensì ricorrendo agli aggiustamenti: “sì però”, “va bene ma”, “questo non significa che”… finché essi non prendono il sopravvento e la soffocano.
Siamo terreno buono, se riusciamo a fidarci della Parola e ad affidarci, certi che essa è davvero come «la pioggia e la neve che scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare»; e sa trovare in noi zolle di terreno buono che non credevamo di avere.
Non è facile rispondere al che cosa siamo, anche perché, probabilmente, non riusciamo a identificarci con una sola delle quattro realtà, ma ci ritroviamo un po’ in tutte e quattro, oppure più in una, e meno in un'altra, o a spizzico secondo i momenti e le circostanze. In questa situazione incerta e variabile la parabola del seminatore non perde la sua efficacia, anzi essa diventa più che mai la voce di Gesù che dalla barca la sta dicendo per noi. Essa, infatti, deve diventare il nostro percorso umile e sincero dall’essere strada, terreno sassoso, rovi, al terreno buono; riscoprendo che la fede non è un pacco di idee, riti e preghiere che ci portiamo appresso, ma una “comprensione” sempre aggiornata, approfondita, trafficata della sua parola.
Questo percorso è difficile, ma è alla nostra portata, perché sorretto, come dice San Paolo, dalla convinzione che «le sofferenze del tempo presente non sono paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi»; e dalla certezza che tra strada, sassi e spine il Signore sa trovare sempre un po’ di terreno buono che dà frutto, e anche tanto, molto più di quello che pensavamo di essere in grado di produrre.