Quale pubblico e quale figlio siamo?

IV Domenica di Quaresima - Anno C - 2016

La parabola del Padre misericordioso, definita a molti la perla dei quattro vangeli, è talmente bella da tenerla davanti agli occhi per ammirarla e nel cuore per gustarla, in silenzio, nel timore che le nostre parole ne rovinino l'incanto.

Essa, però, non è stata predicata da Gesù per essere ammirata e gustata, ma come forte invito alla conversione. Lo afferma chiaramente la motivazione che spinge Gesù a raccontarla: «Si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: "Costui accoglie i peccatori e mangia con loro"». Essa, perciò, in questa quarta domenica, a metà del percorso quaresimale, deve essere per noi un forte invito alla conversione.

Per accoglierla così, ricostruiamo il contesto, mettendoci dentro la scena, e diventando il pubblico che ascolta Gesù. Ci sono i pubblicani e i peccatori, che si avvicinano a lui per ascoltarlo, perché attirati e consolati da questo Maestro che non teme di mischiarsi a loro, annunciando un Dio misericordioso. E ci sono i farisei e gli scribi, infastiditi dalla sua familiarità con i peccatori, e dall'annuncio di un Dio che non tiene conto dei meriti di coloro ne rispettano le regole.

Noi ci consideriamo tra i pubblicani e i peccatori, oppure tra gli scribi e i farisei?

Per deciderlo, dobbiamo scegliere chi ci rappresenta, se il giovane figlio scapestrato, oppure il maggiore, serioso e obbediente.
I farisei e gli scribi - è chiaro - sono impersonati dal figlio maggiore. Essi, come lui, servono Dio fedelmente, senza mai trasgredire a un suo comando. Lo sappiamo: pagano perfino la decima "sulla menta, sull'anéto e sul cumìno". Quanto a chiedere il capretto per fare festa..., be', non lo chiedono ma se lo prendono da soli, facendosi sconti su: "la giustizia, la misericordia e la fedeltà". I pubblicani e i peccatori sono rappresentati dal giovane scapestrato, che prima approfitta della bontà del padre, portandosi via anzi tempo l'eredità per dissiparla "vivendo in modo dissoluto", poi ne sfrutta la misericordia, tornando da lui per "fame".

Tra quale pubblico stiamo e in quale figlio ci identifichiamo?

E' un bel problema.

Non ci va di stare tra gli scribi e i farisei, falsi e legalisti, né di identificarci con il figlio maggiore, duro e antipatico. Noi non siamo legalisti e scrupolosi. Un po' di libertà ce la prendiamo senza tanti scrupoli, anche per quello che riguarda la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Ma come si fa? Oggi, con i tempi che corrono, qualche scappatoia bisogna pure trovarla. Sempre piccola, però. Sicuramente, poi, non ci dispiace se i peccatori si accostano alla fede. Magari tutti andassero in chiesa! Altra cosa, naturalmente, è mettersi tra loro, perché un po' di conversione in più fa sempre bene, ma convertiti già lo siamo. Per questo motivo, ci fa problema indentificarci anche nel figlio giovane, perché fughe da casa come lui non l'abbiamo mai fatte, e vita dissoluta come lui, nemmeno a parlarne. Qualche scappatella sì, ma roba da poco.

Per noi ci vorrebbe un terzo figlio, che sta un po' dentro e un po' fuori, un po' obbedisce e un po' si prende qualche libertà, un po' serve e un po' fa come gli pare. Ma questo terzo figlio non c'è. E non c'è nemmeno un terzo pubblico che un po' ascolta e un po' no. A questo punto, o decidiamo che questa parabola non è per noi, dovendo, però fare a meno anche di questo Padre misericordioso che ci aspetta, ci vede da lontano, ci corre incontro, ci si getta al collo, ci bacia, ci riprende con sé, restituendoci la dignità di figli, e facendo festa per averci ritrovati, nonché dell'Anno Santo che ne celebra la misericordia; oppure, dal momento che un altro Padre non c'è, guardiamo meglio dentro noi stessi, e, riconoscendoci negli errori dei due figli, corriamo da lui e ci lasciamo riconciliare.


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