Quale seme e quale seminatore?

XV Domenica del Tempo Ordinario - Anno A - 2020

Chiamati a essere terreno buono e seminatori fiduciosi.

Le parabole non sono le pagine del Vangelo da raccontare ai bambini perché - come quella del seminatore che questa domenica si proclama – sono facili, belle, suggestive e accendono la fantasia. In realtà sono quelle che richiedono maggiore attenzione per cogliere il messaggio nascosto sotto particolari a volte paradossali, o contraddittori con il messaggio evangelico. Qualche esempio? Quale pastore rischierebbe la sicurezza di novantanove pecore per andare a cercarne una? Quale contadino getterebbe il seme tra spine, sassi, strada... praticamente dove capita? Quale padrone pagherebbe allo stesso modo gli operai della prima e dell'ultima ora? E come si può lodare un amministratore disonesto, e dichiarare sagge cinque ragazze che si rifiutano di fare un favore alle amiche?

Ma perché Gesù (come i maestri di tutti i tempi: Esopo, Collodi, Anthony de Mello, Luis Sepùlveda...) ricorre alle parabole? Lo spiega egli stesso: «perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono», cioè per stimolare a pensare, a riflettere, a superare abitudini mentali e luoghi comuni. Lasciamoci, perciò, stimolare e provocare da questa parabola conosciutissima, tra l'altro spiegata direttamente da Gesù. Sono sempre attualissime, infatti, le riflessioni che essa provoca sul seme e sul seminatore.

Che seme siamo?
Come quando la spiegò ai suoi discepoli, Gesù invita anche noi a identificarci con il seme caduto «lungo la strada», «sul terreno sassoso», «tra i rovi», «sul terreno buono», offrendoci una pista per verificare il nostro rapporto con «la parola del Regno», cioè la sua Parola. Siamo strada, senza possibilità alcuna del seme a penetrare? Siamo sassi, tutti propositi e promesse senza arrivare a capo di niente? Siamo rovi, sempre preoccupati e affannati per il cibo, per il vestito e per qualsiasi altra cosa? Siamo terreno buono, meravigliati e sorpresi di riuscire a produrre un bene che non ritenevamo nelle nostre possibilità? Il Signore ci chiede di riconoscerci, scoprendo probabilmente che non siamo una sola di queste realtà, ma un po' tutte e quattro, magari a volte più una, altre volte più un'altra, secondo i momenti e le situazioni.

Riconoscerci e poi? E poi decidere se restare lì dove siamo, oppure passare da strada a sassi, da sassi a spine, da spine a terreno buono. Riconoscerci per cambiare, per ripartire, per crescere. Il Signore non chiede operazioni da salotto che non aiutano a evitare di guardare senza vedere, di udire senza ascoltare.
Direte: "Insomma dobbiamo batterci il petto anche stavolta!". Sì, perché siamo peccatori, ma la parabola non è per lamentarsi sulla cattiveria dei tempi: zeppi di strade, sassi e spine. Tutt'altro! Gesù assicura che c'è un terreno buono che dà frutti inaspettatamente ed esageratamente abbondanti: «il cento, il sessanta, il trenta per uno». Questo risultato forse è anche nelle nostre possibilità. Forse non ci crediamo. La parabola ci invita a farlo.

Chi è il seminatore?
Ma chi è questo seminatore di cui parla Gesù? Ovvio! È Gesù, che lo sta interpretando proprio mentre lo racconta: c'è «attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia». È Gesù che sta seminando anche oggi con noi. E noi abbiamo cercato di ascoltarlo. Ma non basta. Dobbiamo imitarlo, perché il compito di seminare la parola del regno egli l'ha affidato a ogni suo discepolo. Ognuno di noi è chiamato a uscire a seminare. Quando? Sempre. Dove? Dovunque. Il terreno dove gettare il seme sono i figli, i nipoti, i colleghi, gli amici, i parrocchiani... Non lasciamoci bloccare – come spesso succede – dalla sensazione pessimistica che tutto sia strada, sassi e spine. Non è così. C'è sempre un terreno buono che darà il cento, il sessanta, il trenta per uno. Se non lo vediamo, non significa che non c'è. Non tocca a noi vederlo e valutarlo, ma al Signore.


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