Rendere straordinarie le cose ordinarie

VI Domenica del Tempo Ordinario - Anno B - 2015

«Mangiare e bere». Azioni ordinarie e usuali, come vestirsi, uscire da casa, incontrare persone, mettersi al posto di lavoro, ritrovarsi per la pausa caffè davanti alla macchinetta, parlare di sport, di moda, del festival di Sanremo... 

Sono i gesti di tutti i giorni che tendono fatalmente a diventare ripetitivi, meccanici, tanto da poter suscitare sensazioni di frustrazione e delusione, e da indurre a far sentire insignificanti e - come si dice oggi scopiazzando la cultura americana - "perdenti".

Quando entriamo in situazioni simili, i rischi sono molteplici: finire in depressione (la malattia dei popoli progrediti. Progrediti o sazi?), magari non in forme da ricovero, ma che comunque tolgono il sapore alla vita quotidiana; illudersi di ritrovare vitalità e freschezza non ricreando le motivazioni, ma cambiando situazione (quanti matrimoni si rompono perché: con l'altro/a sarà tutta un'altra cosa?); tirare a campare alla bene e meglio, dal momento che la vita ormai si è messa così e non ci puoi fare niente.

San Paolo, che non sapeva niente di psichiatria, di psicologia, di sociologia, ci propone una via di uscita, fenomenale non soltanto per lo spirito, ma per la persona nella sua globalità: «Fratelli, sia che mangiate sia che beviate, sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio». Cosa significa fare tutto per la gloria di Dio? Dio non ha bisogno che noi gli diamo gloria, cioè grandezza e bellezza, perché ce le ha già in maniera totale che non può essere aggiunto alcunché. Dargli gloria può significare soltanto che la sua grandezza e bellezza siano rese presenti e testimoniate in noi, qualunque sia ciò che facciamo, diciamo, pensiamo. Vivere il mangiare e bere, vestirsi, uscire da casa, incontrare persone, mettersi al posto di lavoro, ritrovarsi per la pausa caffè davanti alla macchinetta, parlare di sport, di moda, del festival di Sanremo..., con la consapevolezza che in queste azioni possiamo e dobbiamo dare gloria a Dio, fa sì che esse non siano mai le stesse, ma che ogni volta diventino "nostre", come la prima volta che le abbiamo compiute; "nuove", perciò tali da suscitare ogni volta la nostra meraviglia; "importanti" da meritare tutta la nostra attenzione e le nostre energie.

«Non siate motivo di scandalo né ai Giudei, né ai Greci, né alla Chiesa di Dio», esorta san Paolo. Qual è lo scandalo che possiamo dare, l'ostacolo contro il quale possiamo fare inciampare coloro che ci vivono vicino? E' smentire la nostra professione di fede nella vita dono di Dio, segno della sua gloria e della sua bellezza, da riconsegnare a lui liberata da tutto ciò che la renderebbe, con una vita abitudinaria, banale, delusa dai sogni di straordinarietà che svaniscono dentro alle piccole cose di ogni giorno, incompatibile a vivere per sempre insieme alla sua grandezza e bellezza.

Vivendo il mangiare e bere a gloria di Dio, e non dentro il cerchio ristretto e angusto dei nostri interessi personali, ci può accadere di scoprire in noi la capacità di trovare il tempo e di impegnare energie per compiere anche opere straordinarie, come coloro che, pur avendo le stesse nostre incombenze quotidiane, si dedicano al bene dei più deboli e bisognosi, come i lebbrosi, che oggi la domenica ci invita a ricordare, come il simbolo di tutti quelli costretti a vivere fuori dell'accampamento. Da noi non è più la lebbra a mettere fuori dall'accampamento, cioè dalla vita piena, ma il non senso e la banalità che colpiscono soprattutto quelli che dovrebbero testimoniare con più forza la bellezza della vita, cioè i giovani, spinti a cercare lo straordinario non nella vita quotidiana, ma evadendo da essa.

Noi cristiani, insieme a tutti, spesso più di tutti, ci lamentiamo di questa situazione. Invece di lamentarci, riconosciamo la nostra responsabilità per essere stati loro di scandalo con la nostra vita, ricca di belle parole, ma povera della "gloria" di Dio, troppo chiusa a cercare, al contrario di Paolo, il nostro interesse e non quello di molti. Dobbiamo impegnarci a poter dire come l'apostolo: «Diventate miei imitatori, come io lo sono di Cristo», non sognando cose straordinarie, ma rendendo straordinarie quelle ordinarie, compiute per la gloria di Dio.


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