La Pentecoste è la nascita della Chiesa, l'evento fondamentale della nostra fede. Il brano degli Atti lo racconta con tanta maestria e bellezza da colpire più la nostra fantasia che la nostra riflessione.
Quel "fragore dal cielo, quasi un vento che si abbatte impetuoso e riempie tutta la casa", e quelle "lingue come di fuoco" che spingono quegli uomini timidi e impauriti a spalancare le porte, per annunciare senza più nessuna paura il Cristo risorto a genti di ogni razza, cultura e fede, compongono una scena indimenticabile. Così, quando – come succederà anche in questa domenica – in tutte le chiese si invoca una nuova Pentecoste, per superare ogni paura e timidezza nell'annunciare il vangelo, e, soprattutto per avere una lingua che tutti capiscono, dal momento che quella attualmente in uso sembra diventata incomprensibile e inascoltata, si rischia di chiedere un replay di ciò che è accaduto a Gerusalemme.
Ma dove dovrebbe accadere questa nuova Pentecoste? Be', è chiaro, prima di tutto in Vaticano. Pensa se il papa si affacciasse alla finestra per parlare e fosse capito da tutta la folla di ogni razza e lingua senza bisogno di traduzione simultanea. Ne parlerebbero tutte le televisioni del mondo. Però, se accadesse soltanto lì, non basterebbe. Dovrebbe accadere anche per vescovi, ma anche per i preti, per i religiosi, e per tutti coloro che hanno ricevuto la consegna di proclamare il vangelo. Cioè tutti i cristiani. Insomma, non servirebbe una nuova Pentecoste, ma una Pentecoste a ripetizione.
Se le nostre preghiere vanno in questo senso, sbagliano direzione, perché la Pentecoste raccontata da Luca non è fatto di cronaca, conclusosi con il discorso di Pietro, e il battesimo di circa tremila persone, ma è lo Spirito del Cristo risorto che, entrato nella nostra storia, rimane vivo e operante per sempre. Di Pentecoste non ce ne può essere una nuova, perché è sempre viva la prima, e quei fatti che noi periodicamente indichiamo come segni di una nuova Pentecoste (il Concilio Ecumenico Vaticano II, i grandi papi degli ultimi decenni...) altro non sono che l'azione di "quel vento impetuoso, e di quelle lingue come di fuoco" dell'unica Pentecoste.
Invochiamo perciò, lo Spirito affinché la Pentecoste si rinnovi e ravvivi continuamente in tutta la Chiesa, a partire da ciascuno di noi, e dalla nostra comunità, dovunque il suo vento trova ostacoli che lo frenano, e le sue lingue di fuoco vengono ricoperte dalla cenere. Rendiamo, però, vera ed efficace la nostra preghiera, collaborando a togliere gli ostacoli al vento e al fuoco, perché nonostante la loro potenza, misteriosamente Dio ci ha donato una libertà capace di bloccarne l'efficacia.
Quale può essere il nostro impegno? Non pensiamo a cose eccezionali da compiere ogni tanto, ma a una lotta quotidiana contro tutto ciò che divide gli animi e rende le persone incapaci di comprendersi e di collaborare. San Paolo ci dà una dritta con un brano che sembra scritto ieri sera dopo aver visto le notizie dei telegiornali: lasciare con più decisione le opere della carne, e accogliere con più coraggio il frutto dello Spirito. Le opere della carne sono tutti quei comportamenti che riportano sulla torre di Babele dove non ci si capisce più e ci si divide da Dio (idolatria e stregonerie), dagli uomini (inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, frazioni, invidie), da noi stessi (fornicazione, impurità, dissolutezza, ubriachezze, orge). Sono esattamente i fatti con cui le cronache ci angosciano con ciò che succede non solo tra la delinquenza organizzata, ma tra gli inquilini del nostro palazzo o in quello vicino.
Per fare scendere queste tensioni dalla torre di Babele e portarle a Gerusalemme dove tutti si capiscono, è necessario lasciarsi guidare dallo Spirito, praticando il suo frutto, che dice parole che tutti comprendono nella loro lingua nativa: amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé. E' così che la Pentecoste è sempre nuova.