Sempre in esilio ma sempre di ritorno

IV Domenica di Quaresima - Laetare - Anno B - 2018

L'insoddisfazione che ci accompagna sempre - le cose non ci soddisfano mai del tutto - ci ricorda che siamo in esilio. La nostra patria è nei cieli, e vivere nel modo giusto è vivere partendo.

Lungo i fiumi di Babilonia, là sedevamo e piangevamo ricordandoci di Sion. Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre. Così ci fa pregare il salmo di questa domenica, uno dei salmi più universalmente conosciuti, non solo tra i credenti. Questo accade quando un testo, una poesia, un dipinto, una canzone, toccano situazioni e sensazioni in cui tutti si ritrovano; quando sembra che l'autore abbia sentito ed espresso ciò che anche noi sentiamo, senza riuscire a esprimere.
Ciò che ci fa sentire "nostro" il salmo è l'esilio. Per quanto stiamo bene su questa terra, non riusciamo mai a cancellare la sensazione che il nostro posto definitivo non sia qui. Manca sempre qualcosa alle nostre canzoni per essere allegre come vorremo e dovrebbero.

Anche se non sempre lo ammettiamo e non sempre lo avvertiamo con la stessa intensità, siamo come i Giudei, scampati alla spada, e portati schiavi a Babilonia. Gerusalemme, distrutta, prima e più che dagli eserciti, dalle infedeltà e contaminazioni con i pagani, e dalla sordità verso i messaggeri che Dio aveva loro inviato "premurosamente e incessantemente", pur ridotta a un cumulo di macerie, senza più mura e senza tempio, era però dentro di loro. Tutto perduto? Soltanto tristezza e nostalgia? No. La promessa del profeta Geremia manteneva accesa una piccola speranza. E infatti, ecco che per vie, tempi e modalità sorprendenti e inattese - come sono sempre quelle di Dio - arriva l'invito del re pagano: "Il Signore, Dio del cielo... mi ha incaricato di costruirgli un tempio a Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e salga!".

Questa non è la storia lontana di un popolo, ma è la storia di tutti e la nostra storia. È lo stesso Gesù a universalizzarla, facendo del popolo ebreo un simbolo del "mondo", di tutta la realtà creata, quando, in cammino verso la Terra, si salva dalle vipere alzando lo sguardo verso il serpente "innalzato". A questo "mondo", sempre in esilio da lui, Dio non ha mandato soltanto "messaggeri" ma addirittura il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. E lo ha fatto per grazia, perché ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ama, per recuperarci dall'esilio e farci sedere nei cieli in Cristo, a Gerusalemme.

Quali messaggi per noi in questa domenica che ci porta vicinissimi alla Pasqua?
Prima di tutto ci ricorda la verità della nostra esistenza: siamo in esilio. La nostra patria non è qui. Se non siamo mai soddisfatti, non dobbiamo affannarci a riempire tutto. Le nostre canzoni non saranno mai del tutto allegre; le nostre feste non saranno mai piene. Questa consapevolezza ci salva dalle illusioni, dalle delusioni, dalle depressioni. Guardiamo intorno cosa succede a chi non accetta di essere in esilio!
Non dobbiamo, però, rassegnarci all'esilio, ma essere sempre pronti ad ascoltare e praticare l'invito che Ciro, il pagano, ci rivolge: Il Signore, Dio del cielo, ci ha creato per vivere a Gerusalemme. Chiunque di voi appartiene al popolo di Gesù, sia con lui e salga!.

"Salga!". Per andare a Gerusalemme è necessario salire. Perché sta in alto. Tanto in alto che ci si arriva soltanto per grazia, per il Figlio unigenito di Dio, per Gesù. Noi, umilmente, lo abbiamo accolto, lasciandoci illuminare dalla sua luce, abbiamo, però, bisogno di accoglierlo con più calore e convinzione, lasciando arrivare la sua luce dentro di noi, in tante zone d'ombra che ancora gli resistono.

Allora: sempre in esilio, ma sempre pronti ad accogliere l'annuncio: Chiunque appartiene al popolo di Gesù, non stia a guardare le cetre appese ai salici, ma sia con lui e salga! In esilio, ma sempre pronti a ritornare.


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