Servi inutili, ma utili in Dio

XXVII Domenica del Tempo Ordinario - Anno C - 2016

«Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: "Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare"», dice Gesù agli apostoli, e a noi, in questa XXVII domenica del tempo ordinario.

Queste parole, di per sé non più esigenti di quelle con le quali siamo invitati a rinunciare a tutto e a seguirlo, portando la propria croce (Cfr. Lc 14,25-27), possono suscitare un senso di fastidio. Infatti, va bene, Gesù ha tutto il diritto di essere esigente con i suoi discepoli, ma chiedere loro di riconoscersi "servi inutili"... Via! Un minimo di riconoscenza, se non altro, sarebbe di incoraggiamento.

Invece niente: "Dite: siamo servi inutili". E' difficile da digerire, tant'è vero che i "biblisti" (gli esperti di Bibbia) si danno da fare per trovare un aggettivo meno ostico di inutile per tradurre la parola greca achreios, che ha diverse sfumature. Ma comunque la si giri la difficoltà resta. Allora lasciamo le cose come stanno, perché, aggettivo a parte, la parabola dalla quale la richiesta di Gesù scaturisce non permette spiegazioni più gradite: "Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: "Vieni subito e mettiti a tavola"? Non gli dirà piuttosto: "Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu"? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così, anche voi...".

Ma queste parole così dure di Gesù possono essere "vangelo", "buona notizia"? Devono esserlo! E infatti lo sono. Perché il padrone che ci comanda non è un uomo come noi che non si fa scrupoli a sfruttare gli altri come servi, ma è Dio. Lui non ci chiede niente per sé. Ha già tutto. Noi non possiamo aggiungere niente alla sua gloria e alla sua felicità. Può solo donare, e tutto quello che chiede è per il nostro bene. Perché dunque dovrebbe ringraziarci?

La difficoltà di accettare le parole di Gesù, comunque, rimane, perché essa altro non è che tentazione dell'albero del bene e del male, che sta sempre sopra la nostra testa, e sotto al quale dobbiamo decidere se fidarci di lui, oppure fare come piace a noi. Riconoscerci servi inutili altro non è che affidarci a lui e fidarci di lui, anche quando non lo capiamo, come il profeta Abacuc, che, timoroso di soccombere davanti all'arroganza dei malvagi, supplica: «Fino a quando, Signore, implorerò aiuto e non ascolti, a te alzerò il grido: "Violenza!" e non salvi? Perché mi fai vedere l'iniquità e resti spettatore dell'oppressione? Ho davanti a me rapina e violenza e ci sono liti e si muovono contese", e si sente rispondere: "Ecco, soccombe colui che non ha l'animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede"».

"Vivrà per la sua fede"...

La fede che è accettare il contrasto tra i nostri pensieri e quelli di Dio, anche quando questo ci espone all'ironia e allo sberleffo di chi non crede. La fede che è stare in carcere, come Paolo, dopo aver fatto tutto quello che gli era stato ordinato, senza pretendere niente, ma invitando i fedeli a "soffrire per il vangelo" e a "non vergognarsi di dare testimonianza al Signore nostro".

Questa fede è talmente impegnativa da farci sentire nella stessa condizione degli apostoli, che di fronte alla richiesta di Gesù di perdonare al fratello "sette volte al giorno", se "sette volte al giorno si dichiarerà pentito (Lc 17,3-4), esclamano: "Accresci in noi la fede!", daccene tanta perché la nostra è così poca.

Gesù, come sempre, li sorprende e ci sorprende.
Non acconsente ad accrescere la loro fede, ma dice loro che se ce l'avessero piccola come un "granello di senape", potrebbero sradicare un albero imponente come il gelso e scaraventarlo nel mare. Cioè, la fede non è un problema di quantità, come credevano i farisei, ma di qualità. La fede di qualità, il granellino che dà la possibilità di compiere miracoli, è offrire al Signore quel piccolissimo, difficilissimo, fondamentale: "Mi fido di te". E' confessare al Signore con gratitudine e gioia: "Sono servo inutile. Ho fatto tutto quello che mi hai ordinato di fare" per il mio bene e per il bene dei fratelli.


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