Un pane da accogliere con consapevolezza, trepidazione, gratitudine.
«Come può costui darci la sua carne da mangiare?», si domandano i Giudei, discutendo aspramente tra loro sulle parole di Gesù: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Abituati a identificare, giustamente, i Giudei come gente completamente e caparbiamente sorda e contraria a tutto ciò che Gesù diceva e faceva, è spontaneo non prendere in considerazione le loro obiezioni e i loro interrogativi. Questa volta, invece, li prendiamo sul serio, e ci domandiamo come avremmo reagito noi alle affermazioni di Gesù, se ci fossimo trovati al loro posto. La risposta è che avremmo reagito esattamente come loro. E avremmo fatto bene, perché altrimenti non avremmo avvertito in quelle parole una misteriosa grandezza, oppure una presunzione senza limiti, come i Giudei bene o male hanno fatto.
Ma lasciamo “in quel tempo” e veniamo al presente, a noi, per chiederci come reagiamo al “questo è il pane disceso dal cielo” che Gesù ci rivolge tutte le volte che celebriamo la Messa e ci accostiamo alla Comunione.
Noi, certamente, non lo chiameremmo “costui”, perché conosciamo il suo nome e la sua storia, e pensiamo anche di essere suoi discepoli, ma l’interrogativo sarebbe lo stesso: “Come può quel pane che è sull’altare diventare il pane vivo disceso dal cielo?”.
Facciamo male a dare spazio a questo dubbio? No. Sarebbe sbagliato non ascoltarlo ogni volta che celebriamo la Messa e ci comunichiamo, perché significherebbe non essere consapevoli di stare rendendo insignificante il mistero grandioso di quel gesto. Come coltivare e accrescere questa consapevolezza? A differenza dei Giudei, fin dal tempo del catechismo, noi sappiamo che in ogni Messa si ripete l’Ultima Cena, e che l’ostia diventa il “corpo di Cristo”. Basta, però, questa conoscenza per credere che le parole di Gesù: «la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda», sono vere e reali, anche senza avere le prove? Sicuramente no. Per accogliere le parole di Gesù come verità e il suo corpo come un dono di amore infinito dobbiamo ricorrere alla soluzione di Pietro. Egli, mentre i Giudei reagirono con stizza alle parole di Gesù, ritenendole farneticanti, e insieme a molti discepoli se ne andarono, alla domanda provocatoria di Gesù: «Volete andarvene anche voi?», pur con i dubbi degli altri, rispose: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna». Ciò significa che l’unica risorsa per accogliere veramente «il pane vivo, disceso dal cielo» è un atto di fede.
La consapevolezza che le parole di Gesù richiedono l’affidamento della fede, non deve, però, rimanere nella testa e nelle parole, ma scendere nella concretezza. Per verificare se questo avviene, c’è uno strumento sempre a disposizione: l’importanza che diamo alla Messa e alla sua celebrazione. Se crediamo veramente che essa è il banchetto dove questo pane vivo ci viene offerto, non possiamo considerarla un optional, ma una esigenza vitale. Convinzione non facile e non molto diffusa, come ha dimostrato la pausa forzata del lockdown, quando tanti si sono accorti che senza la Messa la domenica andava bene lo stesso, forse meglio, e che era più comodo guardala in TV, portando avanti faccende e hobbies, come il long Covid “spirituale” sta dimostrando con le panche delle chiese meno frequentate. Gesù, però, Covid o no, ha detto: «mangiate», non “guardate”. Non ci si nutre guardando i cibi e le tavolate. Così come non si può pensare di accostarsi alla Comunione, senza consapevolezza, trepidazione, meraviglia, gratitudine.
Una volta, quando alla Messa, praticanti o meno, si dava molta importanza, e chi la praticava era facilmente individuabile, era frequente sentire il rimprovero: “E poi va a Messa!”. In esso c’era un po’ di cattiveria, ma anche molta verità, perché il pane disceso dal cielo non può non portare nella vita di ogni giorno un po’ di cielo.