All'inizio sta il silenzio. La celebrazione può finalmente iniziare quando i fedeli, che si sono radunati, che hanno riempito tutti i banchi, che si sono salutati discretamente e riconosciuti con gioia e sobrietà, possono permettersi di accostarsi all'altare della salvezza, creando quella condizione di silenzio su cui può stagliarsi la misericordia dell'azione di Dio e della risposta dell'uomo.
C'è un silenzio iniziale, prima di ogni azione, di ogni canto, di ogni parola. Ma questo silenzio iniziale non finisce: resta come momento costitutivo di ogni sequenza rituale. Rito è agire nel silenzio. Per questo occorre «fare silenzio». Questa espressione appare sequestrata dal registro disciplinare. Ma qui non si tratta anzitutto di disciplina, ma di esperienza del mistero. Una comunità che si raduna e che si dispone a celebrare il mistero di cui fa parte, deve recuperare quel far silenzio che è atteggiamento, risorsa, capacità e disposizione, perché diventi attitudine, virtù. Iniziare a celebrare significa spegnere il rumore di fondo nel quale viviamo. Bisogna recuperare quel silenzio che permette il vero incontro, la parola vera, la confessione di sé, la lode per l'altro, il grande grazie che benedice tutto e tutti. Questo silenzio, però, non è soltanto interiore. È una forma di cultura, di inclinazione, quasi di desiderio acquisito e sviluppato. E per questo sulla soglia della celebrazione si inaugura un fare silenzio che poi riemerge lungo tutto il percorso della messa.
Parlare del silenzio nella messa significa parlare di ciò che sta all'inizio e che ritroviamo nelle mille soglie che scandiscono il rito eucaristico. Proprio su queste soglie siamo spesso del tutto privi di silenzio. Se le parole, i gesti, i movimenti si susseguono senza pause, senza stacchi, senza dislivelli, senza salti, questo spesso è dovuto a una mancanza di silenzio. Perché il silenzio non è solo della parola, ma del corpo, dello sguardo, dell'ascolto, di tutta la sensibilità. Facciamo un esempio. Un pranzo può essere privo di «silenzio»: tutte le portate si susseguono senza soste e in pochi minuti si può arrivare alla fine. C'è nutrimento biologico, ma non c'è pasto comune. Se in un pranzo, invece, ci sono pause tra le portate, il silenzio del cibo apre le bocche alla parola, allo sguardo reciproco, alla condivisione di gioie e dolori o forse... all'irrompere dello smartphone.
Allo stesso modo funziona il rito dell'Eucaristia. Una Liturgia della Parola «a cascata» – dove tra la Lettura e il Salmo, tra il Vangelo e l'Omelia, tra l'Omelia e la Professione di fede non c'è neppure lo spazio di un respiro – assicura la messa valida, ma non crea una comunità di ascolto. Il silenzio, infatti, è una delle condizioni fondamentali della comunione. Si è «una sola cosa in Cristo» quando si può tacere insieme e il silenzio non è imbarazzante.
In effetti, il silenzio può essere imbarazzante. Talvolta lo si rompe per uscire dall'imbarazzo. Tipico è il caso di un luogo di «comunione forzata», come l'ascensore. Non è raro che una vicinanza dei corpi, che diventa intima, possa essere sbloccata da una parola, anche banale (sulla pioggia, sul caldo o sul campionato), che allenta la pressione emotiva. Nella comunità eucaristica, invece, il gusto del silenzio dovrebbe essere la cifra di una «intimità in Cristo» di cui non dobbiamo vergognarci.
Il silenzio è perciò il linguaggio elementare della comunione, con Dio e con il prossimo. La Liturgia eucaristica è una elaborazione del silenzio: da esso parte e ad esso ritorna. Ma soprattutto attiva tutti i codici possibili della comunicazione, e lo fa con la pienezza dei migliori codici che gli uomini e le donne conoscano, ma resta sempre segnata da un Dio «sempre più grande», al quale corrisponde, alla fine di ogni parola e di ogni gesto, il silenzio della voce, il silenzio del corpo, il silenzio della relazione. Sapere inserire, nel percorso di ogni celebrazione, scintille di silenzio – nelle pause, nelle soglie, nella cura del gesto, nella calma del movimento – è una esigenza strutturale del celebrare cristiano. Una comunità che voglia essere sacerdotale, profetica e regale restituisce sempre la parola al suo Signore, che parla in quella brezza leggera che solo nel silenzio si lascia ascoltare.
Il silenzio... Quante volte a scuola vi dicono di fare silenzio! E voi avreste mille cose da raccontarvi, più urgenti della matematica e della storia!
«Anche stavolta gli insegnanti hanno detto ai miei genitori che non so stare in silenzio. E loro hanno rincarato la dose: "Non dire che non è vero, lo vediamo anche a messa, sei sempre distratto!". Allora mi sono arrabbiato e ho detto: "Va bene, volete il silenzio? Eccolo!". Mi sono messo le cuffiette, musica a tutto volume e... isolamento totale! Sì, lo so, quello non è vero silenzio... E so anche che hanno ragione: se non faccio silenzio la matematica diventa uno scoglio insuperabile. Ma a messa... c'è qualcosa da capire? È sempre tutto uguale, lo so già come funziona!».
Perché il silenzio a messa? Non si tratta anzitutto di regole da rispettare, né di «cose da capire», ma di «cose da vivere»: il silenzio è una condizione per fare spazio all'azione di Dio che ci parla e ci salva, e alla nostra risposta alla sua Parola, alla sua salvezza. Il silenzio non è soltanto quello che «senti» prima di ogni azione, canto e parola, ma è anche quello che sai costruire dentro di te, per celebrare, cioè fare davvero esperienza del mistero: se dentro di te non c'è silenzio, il tuo corpo, i tuoi occhi, il tuo cuore, le tue orecchiee i tuoi pensieri sono rivolti a ciò che, facendo rumore – il gioco, la scuola, gli amici, gli impegni... –, ostacola il vero incontro con il Signore che salva e con i fratelli e le sorelle; incontro fatto di doni che riceviamo da Dio e di lode e di benedizione che offriamo a Dio e per i fratelli.
Per questo non solo l'inizio ma tutto il rito della messa è scandito da momenti di silenzio: per aiutarci a spegnere i rumori e aiutare tutti i nostri sensi a «sintonizzarsi» con le parole che ascoltiamo, cantiamo e proclamiamo, con i gesti e i movimenti che compiamo.
La comunione nella Chiesa non ha niente a che fare con il tifo sportivo, che quanto più fa rumore tanto più convince di essere uniti. Perché Dio non si impone, ma si offre con delicatezza. La comunione nella Chiesa nasce dal silenzio che ci rende capaci di assaporare in parole, azioni e canti il gusto e la bellezza della comunione con Dio e i fratelli.
Solo 30 parole, offerte alle menti adulte, spiegate alle coscienze più giovani e illustrate agli occhi di tutti. Per gustare la liturgia eucaristica, per intendere la sua teologia e per assaporarne la potenza. Quello che il lettore si trova tra le mani è un Abbecedario che segue ogni momento della messa: Andrea Grillo lo spiega agli adulti e Daniela Conti lo «traduce» per i più piccoli. Le 30 parole ci aiutano a capire che la Messa ci prende «tutti»...