Tornare a guardare il cielo

Ascensione del Signore - Solennità - Anno C - 2022

Assunto in cielo, Gesù affida a noi l’annuncio e la testimonianza del suo messaggio.

L’atteggiamento degli «uomini di Galilea», incantati a guardare il cielo, mentre una nube sottraeva Gesù ai loro occhi, è comprensibilissimo: non era facile immaginare la vita senza di lui. C’era veramente bisogno che «due uomini in bianche vesti» li scuotessero e li incoraggiassero a mettere in pratica la consegna di Gesù: «di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra», resa possibile dalla potenza dall’alto, la «forza dello Spirito Santo”», che avrebbero ricevuto. Promessa mantenuta e realizzata clamorosamente, come sappiamo, la mattina di Pentecoste.

Guardiamo il cielo!

Noi cristiani di oggi siamo incantati come quegli «uomini di Galilea», e abbiamo bisogno come loro di «uomini in bianche vesti» che ci vengano a scuotere. Al contrario, però! Cioè a stimolarci a guardare il cielo, ad alzare gli occhi, talmente appesantiti di terra da non trovare più la forza di sollevarsi verso l’alto, per scorgere “esigenze di cielo” da allargare e potenziare con la consegna di Gesù: «Andate e fate discepoli tutti i popoli, ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 19a.20b).
Questo «andate e fate discepoli», nonostante i continui inviti che dal Concilio Ecumenico Vaticano II vengono continuamente e accoratamente ripetuti, in forme e modi diversi, fino alla “Chiesa in uscita verso le periferie” di Papa Francesco, non è ancora entrato nella nostra coscienza di cristiani. La nostra fede continua a essere un bene da custodire dentro di noi. Ad andare a «fare discepoli tutti i popoli, ed essere testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra», ci penseranno gli altri. Questo mentre i segnali di un ritorno al paganesimo, che toglie al quotidiano ogni apertura verso l’alto, sono sempre più potenti e pervasivi.
Gli «uomini di Galilea» di allora, tornati a Gerusalemme con grande gioia, stavano sempre nel tempio lodando Dio, in attesa della potenza dall’alto, dello Spirito Santo. Ricevuto il dono, «partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano» (Mc 16,20). Noi «uomini di Galilea» di oggi la «potenza dall’alto» l’abbiamo ricevuta, però non la traffichiamo con il nostro annuncio e la nostra testimonianza.

La consegna di Gesù è per oggi

Queste riflessioni ce le scambiamo non per la sempre viva abitudine di rimpiangere i tempi passati, né per stimolare sterili sensi di colpa, e neanche per rimpallarci la responsabilità tra laici, sacerdoti, vescovi, e il papa, ma per stimolarci ad accogliere la consegna di Gesù, in una società, che in tempi rapidissimi è cambiata tanto da mettere in crisi le nostre sicurezze. Eravamo convinti che tutti fossero cristiani. Non è così. Credevamo che i Vangeli fossero universalmente riconosciuti come radice e nutrimento della civiltà dell’amore (affermava Paolo VI: «sogniamo noi forse quando parliamo di civiltà dell’amore? No, non sogniamo. Gli ideali, se autentici, se umani, non sono sogni: sono doveri… sono energie, sono speranze»). Non è più così.

Ricostruiamo il tempio tra le case

«Partire e predicare», e soprattutto «fare discepoli», ci spaventa. La situazione non era più facile al tempo degli «uomini di Galilea», eppure essi partirono, confidando nella potenza dall’alto, attenti alla novità dello Spirito. Ciò che la Chiesa – e ogni cristiano – è chiamata a fare oggi, è ricostruire “il tempio” tra le case, cioè ridare un’anima di cielo alla vita di ogni giorno, liberandola dalla cappa dell’individualismo, dalla “egolatria”, ossia da un vero e proprio culto dell’io, sul cui altare si sacrifica ogni cosa, compresi gli affetti più cari, e dal “materialismo tecnocratico, ovvero l’alleanza tra l’economia e la tecnica, che tratta la vita come risorsa da sfruttare o da scartare in funzione del potere e del profitto... «La fede cristiana ci spinge a riprendere l’iniziativa, respingendo ogni concessione alla nostalgia e al lamento. Il mondo ha bisogno di credenti che, con serietà e letizia, siano creativi e propositivi» (Papa Francesco). Questo impegno riguarda ogni cristiano e ognuno di noi è chiamato ad assolverlo come lo Spirito gli suggerisce.


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