Paesi senza frontiere e cuori senza barriere.
Nel vangelo di Marco non ci sono lunghi discorsi e parabole, ma racconti e raccolte di insegnamenti su argomenti diversi, come il brano che la liturgia ci propone in questa domenica. Ad aprirlo è l'apostolo Giovanni. Sicuro di ricevere un apprezzamento, riferisce: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». "Perché non ci seguiva". La traduzione precedente della Bibbia (1974), più attenta alla comunicazione e alla comprensione che alla fedeltà letterale al testo, recitava: "Perché non era dei nostri". Preferiamo questa versione più immediata e più idonea a richiamare Giosuè della prima Lettura che chiede a Mosè di impedire a due profeti di parlare perché non sono in regola con le norme del gruppo: «Mosè, mio signore, impediscili!». Né Giovanni né Giosuè ricevono il consenso che si aspettavano. Tutt'altro! «Gesù disse: "Non glielo impedite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi"». E Mosè: «Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito!».
Tutti sono dei nostri! Questo messaggio fortissimo e attualissimo che la parola di Dio di questa domenica proclama, invita a meditare e a vivere, è stato sempre importante, perché da sempre a cuori e menti aperte, Mosè e Gesù, si sono opposti cuori e menti chiuse, Giosuè e Giovanni. Nei nostri giorni, però, il problema della apertura agli altri è diventato vitale. Infatti, quasi all'improvviso, le frontiere e le barriere del mondo, sia fisiche che religiose e culturali, da sempre simbolo di sicurezza, si sono manifestate un impedimento alla conoscenza, alla comprensione, alla collaborazione, nonché al progresso e al superamento di problemi che non rispettano i confini – vedi la pandemia! – e perciò possono essere risolti soltanto con collaborazioni... senza confini.
Ci coinvolge questo superamento dei "confini" come credenti? Dobbiamo aprici a quelli che non sono dei nostri, a quelli che non ci seguono, oppure dobbiamo essere attenti a non perdere la nostra identità? Papa Francesco non ci lascia alcun dubbio. L'accoglienza, l'ascolto, la collaborazione di tutti è il punto fermo della sua predicazione e del suo operato. Nella recente visita pastorale in Ungheria, uno dei paesi europei più restii, con il primo ministro Viktor Mihály Orbán, all'apertura di frontiere sia fisiche che spirituali, il pontefice ha pronunciato parole chiare e illuminanti: «La diversità fa sempre un po' paura perché mette a rischio le sicurezze acquisite e provoca la stabilità raggiunta, ma è una grande opportunità per aprire il cuore al messaggio evangelico: amatevi gli uni gli altri». Per questo non ci si deve chiudere «in una rigida difesa» di una «nostra cosiddetta identità» ma «aprirci all'incontro con l'altro». E nell'incontro ecumenico in Slovacchia, citando un poeta e pastore protestante slovacco, Samo Chalupka, si è espresso così: «Quando alla nostra porta bussa la mano straniera con sincera fiducia: chiunque sia, se viene da vicino oppure da lontano, di giorno o di notte, sul nostro tavolo ci sarà il dono di Dio ad attenderlo». Nella Divina Liturgia celebrata in Slovacchia ha precisato: «Non riduciamo la croce a un oggetto di devozione, tanto meno a un simbolo politico. Il testimone che ha la croce nel cuore e non soltanto al collo non vede nessuno come nemico, ma tutti come fratelli e sorelle per cui Gesù ha dato la vita. Non ricerca i propri vantaggi per poi mostrarsi devoto: questa sarebbe una religione della doppiezza».
In questo mondo che abbatte frontiere e ne crea di nuove cosa possiamo fare noi piccoli cristiani? Dobbiamo crescere nella disponibilità a dare «un bicchiere d'acqua» a qualsiasi piccolo – vicino o lontano che sia per distanza, religione, cultura – convinti che l'impegno a non essere di "scandalo", di impedimento, alla loro esigenza di una vita decorosa e dignitosa è talmente fondamentale che non rispettarlo merita «una macina da mulino al collo e poi essere gettato nel mare». Se non possiamo cambiare il mondo, con il cuore e la mente aperti come quello di Mosè e di Gesù, qualche "scandalo" possiamo scansarlo.
E attenti a San Giacomo! I ricchi ai quali rivolge il suo ammonimento: «Piangete e gridate per le sciagure che cadranno su di voi! Le vostre ricchezze sono marce, i vostri vestiti sono mangiati dalle tarme. Il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine...» è anche per coloro che si tengono stretto anche un bicchiere d'acqua.