Una lingua per capirsi

Domenica di Pentecoste - Solennità - Anno C - 2019

In una società litigiosa e ostile la Pentecoste è speranza e impegno.

Non c'è dubbio che il "segno" che identifica la Pentecoste sia il gruppo di uomini che, spinti fuori dal luogo dove erano riuniti dal «fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso» e dalle «lingue come di fuoco» posatesi su ciascuno di loro, inizia a parlare lingue diverse in modo che «ciascuno li udiva nella propria lingua». Il fatto colpisce per la sua straordinarietà e la capacità di stimolare la fantasia, ma anche per il desiderio accorato che accende: "Magari fosse così anche oggi! Magari anche oggi in famiglia, nel condominio, nel posto di lavoro, tra gli amici, nei partiti, nel governo, tra i governi del mondo..., in tutti i luoghi dove da due persone al numero che si vuole si incontrano, si potesse udire nella propria lingua le tante lingue diverse!". Soltanto così si potrebbe interrompere o almeno attutire lo scontro continuo - tutti contro tutti - che invece che alla mattina di Pentecoste riporta direttamente sulla torre di Babele, dove nessuno capisce l'altro, qualsiasi lingua parli.

Questo desiderio di uscire fuori dalla bagarre è fortemente condiviso. Tutti ci dichiariamo stanchi di questi litigi continui con i politici decisamente in prima fila, ma presenti in tutti gli ambienti e tra tutte le categorie. Però, mentre tutti vorremmo che i litigi cessassero, ci si mette a litigare anche per il fatto che tutti litigano. Dobbiamo allora rassegnarci a pensare che il miracolo di Pentecoste sia stato un abbaglio, o un'una tantum irripetibile, o, peggio, un'invenzione per accendere desideri impossibili? La tentazione c'è ed è forte, perché se quel «fragore di vento impetuoso» e quelle «lingue di fuoco» erano lo Spirito Santo promesso da Gesù ai suoi discepoli, perché non si ripetono dal momento che la promessa era che il dono fosse "per sempre"? La tentazione c'è ed è forte, sia perché in un tempo come il nostro nel quale i media consentono possibilità di comunicazione impensabili fino a qualche anno fa anche tra gli abitanti della terra più distanti tra di loro, invece di unire servono per accanirsi gli uni contro gli altri; sia perché i litigi, le incomprensioni, le contrapposizioni sono forti e sfacciati persino dentro la Chiesa, chiamata a essere testimone della mattina di Pentecoste.

Questa tentazione può essere vinta soltanto con la consapevolezza che questa lingua misteriosa donata dallo Spirito Santo non è "un parlare", ma "un essere". Non è fatta di vocali e consonanti, ma della convinzione che siamo figli di Dio e di comportamenti conseguenti. Lo Spirito Santo non ci dona capacità linguistiche, ma la figliolanza con Dio: «Voi avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: "Abbà! Padre!"». La lingua che permette di capirsi nonostante la diversità di cultura, di età, di sesso, di razza, di scelte politiche è la consapevolezza di essere, prima di ogni altra cosa, figli di Dio e perciò fratelli. Soltanto così la difficoltà di capirsi non è invincibile.

Purtroppo per noi, lo Spirito Santo mandato dal Padre su preghiera di Gesù, segue la logica del Padre e di Gesù: dona la capacità, ma non obbliga. Ciò comporta che la mattina di Pentecoste non è un evento da ammirare e da desiderare, e nemmeno da ricordare con una bella festa, ma un messaggio da vivere, accettando e testimoniando "che siamo figli di Dio".

Gli uomini che la mattina di Pentecoste, pieni di Spirito Santo, parlarono lingue diverse che tutti capivano nella loro lingua nativa non diventarono immuni dai contrasti e dalle contrapposizioni. Però li superarono con la formula: «È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi» (At 15,28), anteponendo alle proprie convinzioni e ai propri vantaggi il dono dello Spirito Santo, cioè l'essere figli di Dio prima di ogni altra differenziazione.


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